E Jane Austen restituì la scrittura alle donne

Pietro Citati ha regalato ai lettori italiani delle prospettive sulla scrittura di Jane Austen che sono intrise di poesia e di puro amore per la letteratura.
Vi proponiamo un ulteriore articolo di questo critico, uscito sul Corriere della Sera il 4 settembre del 2011.

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L’autrice possedeva un fortissimo senso della società: non meno robusto, vasto e incisivo di quello di Balzac

Le prime pagine di Persuasione […] sono, probabilmente, l’inizio più bello, frivolo e perfido, che Jane Austen abbia mai scritto. Sir Walter Elliott di Kellynch Hall, nel Somersetshire, «era un uomo che non prendeva mai in mano altro libro che il Baronetage»: noi diremmo il Libro oppure l’Annuario della nobiltà. Vi trovava scritto il suo nome, la sua data di nascita, la data del suo matrimonio, il nome della moglie, quello del padre della moglie, l’anno della morte della moglie; e infine la data di nascita delle tre figlie e del figlio nato morto.

Non gli bastava: sir Elliott aveva aggiunto con la massima precisione il giorno e il mese in cui aveva perduto la moglie (data che, purtroppo, noi ignoriamo); il giorno, il mese, l’anno in cui la sua ultima figlia, Mary, si era sposata, e quale era il nome del genero, e quale il nome del padre del genero e il paese e la contea in cui abitava. Non crediamo che il Baronetage fosse un semplice libro, come quelli dei romanzieri, che si leggono velocemente dal principio alla fine, e talvolta si dimenticano. Il Baronetage era indimenticabile come l’Iliade. Sir Walter Elliott lo apriva e lo chiudeva, lo leggeva e lo rileggeva: ritornava sempre di nuovo su quelle semplici sillabe, che riempivano la sua vita; il libro occupava le sue ore d’ozio, lo consolava di quelle di malinconia, e aboliva ogni sensazione sgradevole della sua esistenza.

Il secondo inizio è tanto tenero quanto il primo era perfido. Anne, seconda figlia di Sir Walter Elliott, capiva tutte le cose, intuiva tutte le sensazioni, percepiva i sentimenti, coglieva i caratteri con un dono più acuto e sottile, forse, di tutti gli altri personaggi della Austen. Adorava camminare. Conosceva il piacere dell’esercizio fisico, della bella giornata, degli ultimi bagliori dell’anno sulle foglie rossicce: mentre la sua intelligenza luminosa ripeteva qualche verso tra le migliaia che descrivono l’autunno: la stagione suprema. Amava le cose quiete e nascoste: c’era, in lei, un angolo della mente che non poteva aprire a nessuno; ma proprio da questo segreto silenzioso irrompeva, a tratti, una rivelazione quasi sovrannaturale di luce. Verso la fine del romanzo, Jane Austen giunge a dire, sia pure attraverso la voce di un personaggio, che Anne era «la quintessenza della perfezione». Siamo giunti al sublime: parola che Jane Austen, la brunetta, non amava, visto che sosteneva di dipingere con pennelli finissimi e quasi invisibili «su pezzettini d’avorio, non più larghi di un pollice».

Quando Persuasione si apre, Anne Elliott ha ventisette anni. Nove anni prima si era innamorata del capitano di marina Frederick Wentworth, intelligente, vivace e brillante: oggi diremmo pieno di fascino. Era stato un amore profondo: un breve periodo di quasi ineffabile felicità. Ma quel periodo era stato «troppo breve»: il padre di Anne aveva giudicato «degradante» un’unione simile, e un’amica di casa «un evento infausto». Troppo giovane, troppo debole, Anne aveva rinunciato. E, come si trattasse di un fiore o di un frutto, era sfiorita, appassita: il suo splendore giovanile era svanito: pensava che il suo futuro fosse spezzato per sempre; e viveva soffocata, rassegnata, sacrificata. A partire da quel momento – visto che la società non perdona l’amore felice o infelice – era diventata un’esclusa. Non era nessuno, né per il padre né per le sorelle: la sua parola non aveva peso; e il suo destino era quello di cedere, in ogni occasione, alla volontà degli altri.

Come in tutti i romanzi della Austen, sullo sfondo di Anne Elliott sta una famiglia (anzi un intrico di famiglie imparentate). Ogni famiglia è una struttura, una istituzione, una legge, una ripetizione: sta ora più in alto ora più in basso sulla scala dei rapporti di classe: obbedisce a abitudini, psicologie, idee fisse, parole d’ordine; e possiamo essere certi che i veli delle finestre, le lettere di condoglianza, il colore dei tappeti, lo stile dei quadri e dei sofà rivelano, ogni volta, una musica e un profumo che non si possono confondere. La famiglia possiede soprattutto un timbro: il chiacchiericcio femminile. Quasi sempre a casa Elliott le donne parlano in un certo modo: a casa Russell, Musgrove, Harville, Benwick, Croft e in ogni appartamento della mondana città di Bath si ascolta un gorgheggio e un cinguettio incomparabili. Quella femminile è in realtà l’unica chiacchera del mondo, perché gli sfortunati o fortunatissimi uomini osano di rado avventurarsi nel regno della parola.

La Austen possedeva un fortissimo senso della società: non meno robusto, vasto e incisivo di quello che aveva Balzac. Il suo giudizio sulle persone e le situazioni è persino più duro e feroce. La società rappresentata in Persuasione è vanitosa, presuntuosa, egoista, tronfia e sciocca. Per fortuna, possiamo aggiungere che è comica: ma è comica soltanto perché irreparabilmente e impenetrabilmente sciocca. Dagli sguardi acutissimi della brunetta non si salva niente. Oppure si salva tutto, perché persino le più pesanti e rozze cretinerie diventano, appena giungono tra le sue mani, lievi, inverosimili, aeree, persino poetiche. È il miracolo che nessun lettore della Austen riuscirà mai a spiegare.

Persuasione è un libro assolutamente unico nell’opera della Austen – uno squillo incomparabile di dolore e felicità. Di solito, raccontava obbedendo ad una doppia ottica: orchestrava una doppia partitura: se il personaggio principale era romanzesco, quello minore era prosastico: se il personaggio principale era ardente e appassionato, quello minore amava la discrezione: se il personaggio principale era duro e brillante, quello minore era bonario e compassionevole. Con Persuasione, composto negli ultimi mesi di vita, quando cercò di eludere e giocare lievemente con la propria morte, la Austen rinunciò per sempre al gioco complicato del doppio. Malgrado gli indugi e le inquietudini, Anne Elliott e Frederick Wentworth rivelano alla fine di essere posseduti dalla medesima luce: la luce intensa e nitida della passione.

Anne Elliott e Frederick Wentworth si erano conosciuti nove anni prima l’inizio del romanzo; e quanto tempo passa, mesi, forse un anno, un tempo dilatato e prolungato, spossante e lentissimo, prima che il romanzo e l’amore trovino insieme il loro culmine. C’è un’attesa, che non dice il proprio nome. I due non sanno parlarsi: non osano parlarsi, o tentare di inseguire almeno vagamente l’ombra delle parole. Si sentono separati: separati per sempre, o immersi in una confusione quasi penosa.

A poco a poco, riaffiora la voce del cuore: che tenerezza e ricordi e dolore e silenzi e malinconie e improvvise incursioni di gioia e di luce, mentre i colori della giovinezza tornano a fiorire sulle guance una volta appassite di Anne. Tutto procede attraverso quei piccolissimi tocchi e quegli effetti indiretti, che la Austen amava: il capitano si accorge di riamare Anne guardando cogli occhi di un uomo che la ammira: il capitano rivela il suo amore per lei parlando dell’amore di un altro; Anne confessa i suoi sentimenti discorrendo, con un terzo personaggio, intorno alla tenerezza femminile. A poco a poco, la distanza dello spazio e nel cuore diminuisce. La parola amore non viene mai pronunciata, ma si avvicina silenziosamente agli sguardi dei lettori.

Nel penultimo capitolo di Persuasione, Anne Elliott discorre con un vecchio amico, il capitano Harville, intorno alla memoria, alla dimenticanza, all’amore maschile e femminile. Sorride. «Sì, noi certamente non vi dimentichiamo così presto quanto voi vi scordate di noi. Forse, più che un merito, è il nostro destino. Non possiamo farne a meno. Viviamo tranquille, confinate in casa, preda dei nostri sentimenti. Voi siete costretti all’azione. Avete sempre una professione, degli interessi, degli affari di uno o di un altro tipo, che vi riportano subito nel mondo; siete sempre occupati, e i cambiamenti di vita attenuano i vostri sentimenti». Sorridendo, Anne sa di parlare di sé stessa: suo è l’amore, sua la memoria, e intanto, seduto a un tavolo accanto a lei, il capitano Wentworth scrive in silenzio una lettera e ascolta in silenzio quelle parole che lo riguardano.

Con un sorriso simile a quello di Anne, il capitano Harville ribatte. «Permettete di dirvi che esempi storici o narrativi, sia in prosa sia in versi, sono contro di voi. Credo di non aver mai letto in vita mia un libro che non ricordasse qualche caso di incostanza femminile. Voi potreste osservare che sono tutti libri scritti da uomini». «Credo di sì, dice Anne Elliott al capitano. Vi prego. Non parlate di esempi nei libri. Gli uomini hanno avuto, molto più di noi, la possibilità di narrare la loro storia. La penna è in mani maschili… Apprezzo, aggiunge Anne, tutti i sentimenti provati da uomini come voi. Credo voi uomini pronti ad ogni azione grande e buona nelle vostre vite coniugali; pronti ad affrontare ogni ardua prova, ogni difficoltà domestica, fino a che – se mi permette l’espressione – fino a che vi resta uno scopo, cioè finché vive la donna che amate, e vive per voi. Tutto il privilegio che rivendico al mio sesso… è quello di amare più a lungo, anche quando la vita e la speranza sono finite».

Dopo la piccola sonata di Anne Elliott, la penna non è più rimasta esclusivamente in mani maschili: l’ha presa in mano saldamente e per sempre, con segni sia maschili sia femminili, l’autrice di Persuasione. Tra qualche mese morirà. Lei lo ignora, sebbene sia pallidissima, e con la voce estremamente debole, quasi un sussurro. E intanto accompagna Anne Elliott e Frederick Wentworth, fianco a fianco, braccio sotto braccio, lungo Union Street, fino a Gay Street, e forse fino a Belmont, o dalle parti di Camden Place, dovunque un profumo d’«eternità» seguisse le loro parole e i tranquilli e appartati vialetti di ghiaia.

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3 commenti

  1. Adoro “Persuasione”: lo trovo un romanzo della maturità e che si apprezza con la maturità. C’è una luce quasi crepuscolare che lo pervade e lo illumina e, a tratti, arrivo a preferirlo ad Orgoglio e pregiudizio.
    Trovo Anne una figura grandiosa: intelligenza, costanza, buon senso e generosità; immensa e dignitosa anche nella sofferenza…. rappresenta la parte migliore di tutte le donne.

  2. Persuasione potrebbe essere considerato il suo testamento spirituale o come osserva Citati, il suo lasciapassare per l’eternità, la rivendicazione -più o meno consapevole- di una posizione ancora più grande di quella che avrebbe potuto acquisire con un matrimonio…

  3. E’ emozionante leggere come Persuasione tocchi nel profondo. Come ho detto altrove, se non fosse per ragioni puramente affettive, sarebbe il mio preferito trai romanzi austeniani, perfino al di sopra di O&P. Si comprende l’età diversa di Jane, anche l’evoluzione della sua sensibilità, ed ho sempre pensato che l’abilità con cui descrive gli stati d’animo di Anne, che crede smarrita per sempre la possibilità del suo amore, possa dipendere in qualche misura da ragioni autobiografiche. In fondo anche Jane non ha trovato (apparentemente) il lieto fine amoroso, ed ha quindi verosimilmente conosciuto stati d’animo simili. La luce crepuscolare citata da Romina è un’immagine adattissima al romanzo, che è tessuto di una certa malinconia.
    Non oso immaginare cosa sarebbe divenuto Sanditon, visto che le pagine giunte sino a noi sembrano aprire un nuovo pezzo di Austen davvero prezioso, che purtroppo non leggeremo mai.

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