Vecchi amici e nuovi amori e i derivati austeniani | Resoconto dell’incontro con Carlotta Farese del 13 feb. 2016

20160213_jabc_cLo scorso 13 febbraio, nell’ambito del Jane Austen Book Club di Biblioteca Salaborsa e JASIT, abbiamo riflettuto su un aspetto peculiare del mondo che ruota intorno a Jane Austen e alla sua opera: i derivati. Con questo termine, si indicano tutti i testi letterari, essenzialmente romanzi, che sono ispirati alle opere, ai personaggi, o all’autrice stessa (non a caso, l’espressione inglese che li identifica è Austen inspired novels).

L’occasione è stata offerta dalla lettura di quello che viene considerato il primo derivato austeniano della storia, Vecchi amici e nuovi amori (Old friends and new fancies), di Sybil Grace Brinton, pubblicato nel 1913 (in Italia, è arrivato nel 2013, edito da Jo March), un romanzo il cui sottotitolo rivela il filo conduttore, Immaginario seguito dei romanzi di Jane Austen (An imaginary sequel to the novels of Jane Austen).
Ad introdurci e guidarci lungo questa riflessione, la prof.ssa Carlotta Farese, del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture moderne dell’Università di Bologna, che ringrazio ancora una volta per aver animato la conversazione con una perfetta miscela di elementi accademici e note personali da appassionata lettrice di Jane Austen.

L’incontro è durato circa due ore e mezza, a riprova della complessità e dell’importanza di questo tema nell’ambito della ricezione popolare di questa autrice. Di seguito, troverete un ampio resoconto dell’introduzione e dello scambio che ne è seguito, corredato dalla presentazione utilizzata in sala dalla prof.ssa Farese.

Vi ricordo che la maggior parte dei libri di cui si parla sono disponibili (anche in edizione italiana) nel catalogo di Biblioteca Salaborsa oppure su MLOL, la biblioteca digitale accessibile online per tutti gli iscritti. Chiunque sia incuriosito da questi testi, dunque, può comodamente dare un’occhiata preliminare e reperirli grazie al prestito (evitando, così, il rischio di incappare in uno spiacevole incauto acquisto).

Buona lettura!

Il mondo dei derivati (Austen inspired novels) è molto articolato e prolifico, ed è espressione della ricezione di Jane Austen presso il grande pubblico di appassionati. Forse proprio per questo, è visto con diffidenza, e talvolta snobismo, da parte del mondo accademico (anche se è bene ricordare che gli studiosi statunitensi hanno da tempo abbattuto la barriera ed hanno contatti costanti con il mondo dei Janeite). In realtà, i derivati sono un interessante aspetto della cosiddetta subversiveness di questa autrice, che ha una vera e propria doppia vita.
Da un lato, è una grande icona letteraria, emblema stesso della Englishness, e la cui enorme complessità e grandezza narrativa, sociale e storica è studiata ed analizzata nelle università con attenzione costante. Dall’altro, è un’icona pop a tutti gli effetti, oggetto di un vero e proprio culto, letterario e popolare, da parte di milioni di appassionati in tutto il mondo, che la chiamano per nome. Questo non è un dettaglio insignificante: solo a lei (nemmeno al famosissimo ed amatissimo Shakespeare) è riservato questo trattamento affettivo, che arriva al punto di utilizzare proprio il suo nome, Jane, per identificare gli appassionati, chiamati, appunto, Janeite. Ed è in questo ambito di fenomeno popolare che si inseriscono i derivati.

Si può dire che Jane Austen stia vivendo da decenni una vera e propria afterlife, seconda vita, che ha una data di inizio, il 1870, anno in cui il nipote James Edward Austen-Leigh pubblica il Memoir of Jane Austen (Ricordo di Jane Austen), la prima biografia sull’illustre zia scrittrice. Il ritratto è molto vittoriano: donna schiva e pia, isolata dal mondo, che scrive solo per il diletto dei familiari, e si trova a comporre grandi capolavori quasi per caso. Ancora oggi, questa immagine falsata resiste ma è ormai chiaro che la vera Jane Austen fosse ben diversa, come dimostrano le lettere giunte fino a noi, nonché una lettura più attenta e meno pregiudiziale delle sue opere.
Eppure, è proprio dal Memoir che la fama dell’autrice conosce un’impennata, che non ha mai smesso di fermarsi e l’ha resa sempre di più un’icona popolare, di massa. Che passa anche e soprattutto attraverso le sue qualità di narratrice.
Il fenomeno dei derivati, infatti, conferma una peculiarità della scrittura di Jane Austen: un atteggiamento tipico della cosiddetta letteratura bovaristica, cioè di totale immersione nel testo da parte dei lettori, che sono davvero “lost in Austen”, persi nella narrazione austeniana; e la tendenza delle vicende e dei personaggi ad avere, come la loro creatrice, delle vere afterlives, cioè una vita dopo la fine del romanzo, nell’immaginazione dei lettori – per i quali vale il detto “six novels are not enough”, sei romanzi non sono abbastanza.

Un grande romanziere, E. M. Forster, nelle sue lezioni sulla letteratura inglese raccolte in Aspects of the novel (Aspetti del romanzo), ricorda proprio come i personaggi di Austen abbiano una qualità unica, quella di “uscire dalla pagina”.
Anche Beatrice Battaglia ha sottolineato come i romanzi siano caratterizzati da una “polifonia di personaggi”. Spesso, la critica sottolinea come queste figure sembrino avere un potenziale narrativo ancora più ampio di quello già magistralmente messo in scena dalla loro creatrice.

Proprio tutti gli aspetti fin qui descritti sembrano aver generato in modo quasi spontaneo la spinta a continuare le storie dei sei romanzi, come conferma il romanzo (un sequel di Orgoglio e Pregiudizio) scritto da Sybil G. Brinton, Old Friends and New Fancies (Vecchi amici e nuovi amori), il primo di questo genere.
Ma prima di approfondire il libro protagonista di questo incontro, facciamo un breve passaggio sull’intero mondo dei derivati.
Dalla metà degli anni ’90, quando è iniziata la cosiddetta Austen Renaissance (grazie ai tanti adattamenti per lo schermo di quel periodo, primo tra tutti lo sceneggiato Orgoglio e Pregiudizio di BBC), Jane Austen è diventata un marchio commerciale che vende molto bene. Anche in campo editoriale, le case editrici hanno capito la potenzialità di questo tipo di romanzo e la produzione è notevolmente aumentata. Ma anche nei decenni precedenti non mancano alcuni esempi (pag. 9 della presentazione).

Il risultato è che oggi disponiamo di un gran numero di derivati. Un filone molto interessante è quello che mescola i temi austeniani con la detective story. Un esempio è la serie delle indagini dei coniugi Darcy, di Carrie Bebris. L’autrice racconta sul proprio sito di aver avuto questa idea notando come, in un sondaggio compiuto su un vasto numero di lettrici a proposito del personaggio letterario maschile con cui andare a cena, al primo posto si è piazzato Mr Darcy, seguito da ben tre famosi detective.
Le cose vanno meglio con P.D. James, che scrive un romanzo che non è il suo capolavoro ma di certo alza il livello qualitativo dei derivati. In effetti, questo genere letterario, scritto quasi esclusivamente da donne appassionate di Jane Austen e in generale senza particolari abilità narrative, ha una qualità medio bassa: spesso, i romanzi sembrano vere e proprie fanfiction che assurgono allo status di libro pubblicato. Il pericolo, secondo alcuni studiosi, è che a forza di rifugiarsi in questa Jane Austen “surrogata”, vera letteratura d’evasione, ma troppo facile e mediocre, si finisca col dimenticare quella originale.
Di questo aspetto, quello della fuga dalla realtà moderna, parla Jane Austen Book Club, romanzo di Karen Joy Fowler (N.d.A.: che abbiamo letto e dibattuto in Salaborsa lo scorso 19 dicembre), particolarmente ben riuscito nella versione cinematografica, con una scena memorabile ed emblematica, in cui la scritta “what would Jane do?” appare su un semaforo davanti ad una delle protagoniste, concretizzando la figura dell’autrice come maestra di vita per chi la legge.
Anche lo sceneggiato di ITV Lost in Austen (N.d.A.: trasmesso molto tempo fa dalla RAI con il titolo Il romanzo di Amanda) mette in scena con molta ironia la via di fuga offerta da Orgoglio e Pregiudizio, il romanzo preferito dalla protagonista che è talmente “lost in Austen” da ritrovarsi nel bagno di casa nientemeno che Lizzy Bennet in persona – nonché un passaggio spaziotemporale a Longbourn.
Tema simile, ma che prende sviluppi diversi, anche nei due libri di Laurie Viera Rigler (Shopping con JA e In viaggio con JA), in cui “too much Austen”, troppa Austen, catapulta una ragazza moderna nell’Inghilterra Regency.
Carlotta Farese consiglia la lettura di un libro, non ancora tradotto in italiano, My Jane Austen Summer, di Cindy Jones, che ambienta la vicenda ai giorni nostri, facendo intrecciare tra loro il mondo accademico e quello dei Janeite, con sviluppi molto interessanti.
Infine, viene ricordato l’esperimento della casa editrice Harper Collins, il Jane Austen Project, che affida a grandi autori contemporanei la riscrittura in chiave moderna dei romanzi austeniani – che, però, pare sia a un punto di stallo perché non ha avuto il successo sperato.

Tutto questo è nato con Sybil G. Brinton ed il suo sequel.

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In realtà, prima di lei, qualche membro della famiglia Austen aveva tentato un esperimento del genere. Verso il 1830, la nipote Anna Austen Lefroy, figlia di James Austen, fratello maggiore di Jane, aveva tentato di finire Sanditon, mentre nel 1850 fu un’altra nipote, Catherine Hubback, figlia di Francis “Frank” Austen (un altro fratello di Jane) a ispirarsi ai Watson, pubblicando il romanzo The Younger Sister.

Il sequel di Sybil G. Brinton è il primo del genere dopo lo spartiacque segnato dalla pubblicazione del Memoir, che ha riacceso l’interesse del grande pubblico intorno a Jane Austen. Un altro esempio ne è Jane Austen. Her Homes and Her friends (N.d.A.: tradotto in italiano da JASIT e pubblicato da Jo March con il titolo Jane Austen. I luoghi e gli amici), del 1902, che è il primo esempio di saggio/biografia scritto da un autore non accademico. L’autrice, Constance Hill, infatti, ricostruisce la vita e le opere di Jane Aausten attraverso un viaggio in Austenland (parola da lei stessa inventata), cioè nei luoghi in cui è vissuta la sua beniamina.

Sybil Brinton dice chiaramente nella prefazione qual sia il suo intento (pag. 4 della presentazione). Che conosca bene la materia austeniana è indicato dal fatto che fa riferimento ad un brano molto noto del Memoir, in cui il nipote biografo rivela come dear Aunt Jane parlasse spesso dei possibili sviluppi dei romanzi (pagg. 5 e 6 della presentazione).
Leggendo Old Friends and New Fancies (Vecchi amici e nuovi amori), si scopre che l’autrice resta molto fedele alla rivelazione del Memoir. Riprende il marriage plot, la trama matrimoniale, utilizzandolo per i personaggi secondari che nei romanzi canonici erano rimasti “in sospeso” oppure avevano avuto una fine ignominiosa.
È il caso di Kitty Bennet, Georgiana Darcy e, soprattutto, Mary Crawford, che Brinton evidentemente apprezza molto, tanto da trasformarla in protagonista del romanzo, e volerla addirittura riscattare agli occhi dei lettori, regalandole una riabilitazione ed una sistemazione positiva. Purtroppo, così facendo, questo personaggio femminile – straordinaria creazione di Jane Austen, che la colora di sfaccettature diverse e contrapposte – si appiattisce, diventa banale fino ad annullare del tutto la sua natura originale. In questo, però, imposta una tendenza tipica dei derivati: riprendere un personaggio negativo, o “trattato male” dal destino romanzesco, e riscattarlo.
Concerta molto bene le trame e i personaggi, nonché l’ambientazione, ed è andata sul sicuro: tutti i personaggi più delicati da trattare, come i famosi fools austeniani (Mr Collins, Mrs Bennet, ecc.) restano marginali o non ci sono. Questo implica il fatto che l’ironia sparisce.

Tuttavia, è molto interessante notare come alcuni elementi di Mansfield Park vengano ripresi con abilità. Uno su tutti è il teatro, o meglio la messa in scena delle sciarade, che permette di giocare con le dinamiche dei personaggi proprio come accade nel romanzo austeniano. Per un certo periodo, fino agli anni ’90, si è ritenuto che Jane Austen fosse critica verso il teatro: l’arrivo di Sir Thomas che mette fine all’allestimento di Lovers’ Vows (Giuramenti d’innamorati) veniva interpretato come una condanna conservatrice dell’autrice verso il teatro. Ma la lettura più approfondita e critica delle lettere e delle opere ha permesso di ribaltare questo giudizio: Jane Austen amava il teatro, tant’è vero che fin da bambina era abituata, in casa, a mettere in scena i testi composti da lei stessa e dai familiari.
In breve, Carlotta Farese ammette di non amare i derivati, a meno che non siano veramente soltanto “ispirati” al mondo di Jane Austen, e in chiave moderna (come Jane Austen Book Club) ma questo Old Friends and New Fancies (Vecchi amici e nuovi amori) si è rivelato… “tolerable”, come direbbe Mr Darcy, anche se non abbastanza bello da convincerla a leggere altre prove del genere.

Dal pubblico si ricorda come in questo romanzo sia piacevole proprio il suo elemento più importante, cioè il gioco che l’autrice si diverte a fare con i tanti personaggi (chiamati a raccolta da tutti i romanzi canonici) che mette in scena.
È molto interessante l’elenco dei personaggi che è inserito all’inizio del romanzo, alla maniera teatrale. Si tratta di un elenco parziale perché, leggendo, si scopre che mancano alcuni personaggi che appaiono in poche battute oppure ai quali si fa riferimento nelle conversazioni. Inoltre, ci sono precisi riferimenti a situazioni e battute dei romanzi originali (come la dichiarazione di William Price, che riprende fedelmente quella di Mr Darcy). Questo fa capire che il libro deve essere letto con maggiore attenzione, proprio per cogliere queste sottili ma importanti sfumature – che confermano come Sybil Brinton conoscesse molto bene la materia austeniana.
A proposito del suo evidente amore per Mansfield Park, si ricorda che all’inizio del ‘900 il romanzo veniva interpretato proprio come romanzo corale, quindi la scelta dell’autrice riprende questo aspetto.

Il trattamento dei personaggi è l’elemento portante e al tempo stesso la debolezza dei derivati. Se ci sono delle regole in questo particolare genere di letterario, di certo una è quella che esige la coerenza con i personaggi originali. Troppo spesso questo non accade, come dimostra anche il trattamento a cui Brinton, la prima scrittrice di derivati della storia, sottopone Mary Crawford, trasfigurandola. Anzi, talvolta sembra che gli autori di questi romanzi ritengano sufficiente il nome del personaggio per ricordare ai lettori il loro “carattere”, e non si premurano di caratterizzarli narrativamente, attraverso le loro parole e azioni.

A questo punto, si ricordano anche altri derivati degni di nota.
In particolare, i romanzi di Stephanie Barron, che ha scritto una serie dal titolo Le indagini di Jane Austen, appartenente quindi al filone di cui si è già parlato, quello dell’intreccio con la detective story. Tuttavia, rispetto alla già citata Carrie Bebris, Stephanie Barron dimostra maggiore abilità narrativa ed un’accuratezza nella ricostruzione storica e sociale, nonché nei riferimenti biografici, che dimostrano tutta la sua profonda conoscenza della materia austeniana. In italiano, la casa editrice TEA ha pubblicato i primi 8 romanzi ma poi ha interrotto la serie.
Un altro ottimo romanzo, anche a prescindere dal suo legame con il mondo di Jane Austen, è Longbourn House di Jo Baker, pubblicato in Italia da Einaudi. Si tratta di una riscrittura di Orgoglio e Pregiudizio visto dalla parte di una serva dei Bennet (e che, per questo, viene spesso considerato una intreccio tra Jane Austen e la serie tv Downton Abbey).
Restando in tema di riscrittura, e tornando alla questione dei personaggi, ed in particolare alla coppia d’oro austeniana, si ricorda che un filone molto prolifico è quello ispirato a Orgoglio e Pregiudizio, con Elizabeth e Darcy grandi mattatori. In particolare, ha grande successo la riscrittura di questo romanzo visto dalla parte di Mr Darcy. Nell’originale, i lettori vivono la vicenda con gli occhi di Elizabeth e sempre attraverso i suoi occhi vedono Darcy – personaggio complesso e affascinante, i cui pensieri ci sono noti esclusivamente attraverso ciò che Lizzy vede o ascolta di lui. Pamela Aidan ha scritto la Trilogia di Fitzwilliam Darcy, gentiluomo, che ripercorre tutta la vicenda dalla parte di Darcy.
Il secondo volume mostra tutti i difetti dei derivati: copre il periodo di assenza di Darcy dallo Hertfordshire, dopo la sua fuga da Netherfield a Londra, insieme a Bingley; ma, in assenza del terreno sicuro dell’originale austeniano, Pamela Aidan si trova a gestire da sola la trama e il personaggio e, inesorabilmente, cade in una vicenda ed in un ritratto di Darcy incoerente.
Amanda Grange ci offre uno sguardo ancora più approfondito sul signore di Pemberley con il suo Diario di Mr Darcy (disponibile in italiano). Questa scrittrice ha replicato il formato del diario per altri eroi austeniani, ma con sorti alterne.

Per finire con questa breve carrellata di derivati anglosassoni, si segnala una trilogia il cui autore è un uomo, Michael Thomas Ford. È ambientata ai giorni nostri e vede una Jane Austen ancora viva, che abita negli Stati Uniti, è proprietaria di una libreria e tenta di vendere un suo romanzo alle case editrici, che però la rifiutano ripetutamente. Ma come può essere ancora viva ai giorni nostri? Qui c’è un elemento fantasy, molto in voga negli ultimi anni: Jane Austen è stata vampirizzata da Lord Byron nel 1817 diventando, così, immortale… I libri sono molto divertenti e arguti, si prendono gioco delle esagerazioni del fanatismo letterario e della facile commercializzazione del fenomeno, con dosi massicce di ironia molto austeniana.

Per la gioia di chi organizza e anima l’incontro, alcune partecipanti affermano che, pur non avendo letto il libro di Sybil G. Brinton per diffidenza nei confronti di questo tipo di operazione letteraria, sono tuttavia ormai decise a farlo, grazie alle riflessioni in sala. Il nostro invito a chi, come loro, non ha voluto leggerlo, è di affrontare comunque la lettura di Old Friends and New Fancies (Vecchi amici e nuovi amori), per l’importanza che riveste nell’ambito della ricezione popolare di Jane Austen, in quanto primo derivato austeniano della storia, e prima testimonianza diretta dell’abitudine degli appassionati, i Janeite, di continuare ad abitare nei microcosmi dei suoi romanzi anche dopo la parola fine.

L’incontro si chiude con una nota che pone un interrogativo: come già detto in precedenza, i derivati sono scritti quasi tutti da donne e, in questo, sembrano riflettere la questione di genere che caratterizza l’approccio generale a Jane Austen, considerata comunemente una scrittrice per sole donne.

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Presentazione della prof.ssa Carlotta Farese

Ho cercato di condensare qui i temi principali trattati dalla prof.ssa Carlotta Farese ed i tanti interventi delle/dei partecipanti per raccontare l’essenziale di questa ricca esperienza di condivisione, durata quasi due ore e mezza. Di nuovo, ringrazio ancora personalmente tutti coloro che hanno preso parte a questo incontro del Jane Austen Book Club.


Della questione di genere in Jane Austen avremo modo di parlare nel prossimo appuntamento con il Gruppo di lettura di Biblioteca Salaborsa e JASIT, il 12 marzo 2016, alle ore 16, in Cappella Farnese. Parleremo di Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, con l’aiuto della prof.ssa Rita Monticelli, docente di letteratura inglese del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Moderne dell’Università di Bologna.
Tutti i dettagli nel post di presentazione dell’incontro.

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