L’articolo originale è apparso sulla rivista di Jane Austen Society of Italy “Due pollici d’avorio”, numero 8 (giugno 2017), pagg. 46-54. Per richiedere l’intero numero, scrivere a info@jasit.it.
«Che altre penne si soffermino su colpe e miserie. Io abbandono questi odiosi argomenti non appena posso, impaziente di riportare tutti quelli non troppo colpevoli a un tollerabile grado di benessere, e di farla finita con tutto il resto»[1].
Quando Jane Austen aprì l’ultimo capitolo di Mansfield Park con questa dichiarazione, intendeva dire di non avere alcuna intenzione di continuare a parlare di eventi che non fossero lieti; di sicuro le altre penne si sarebbero dovute soffermare su colpe e miserie in altri romanzi, non certo nei suoi. Non sapeva di aver dato in questo modo quasi un’autorizzazione a immaginare – e arrivare persino a scrivere – un prosieguo alle sue storie.
Perché è un dato di fatto che chiunque la ammiri, senta di avere un legame stretto con i suoi personaggi. Come dice il critico letterario Bill Deresiewicz,
«Jane Austen ha un’insuperabile capacità di farci sentire di conoscere i suoi personaggi proprio come conosciamo le persone che fanno parte della nostra vita. Sono nostri amici; non c’è da meravigliarsi, dunque, se vogliamo continuare a spettegolare su di loro»[2].