Morte a Pemberley, P.D. James e Jane Austen | Resoconto del Jane Austen Book Club 9 apr. 2016

160409_jabc_morte-a-pemberleyDopo aver parlato dei derivati austeniani in generale, partendo da quello che viene considerato il capostipite di tutti i romanzi di questo genere, Vecchi amici e nuovi amori (Old friends and new fancies) di Sybil G. Brinton, abbiamo scelto di dedicare un incontro del Jane Austen Book Club di Biblioteca Salaborsa di Bologna e JASIT a uno dei derivati austeniani che eccellono per la qualità della scrittura: Morte a Pemberley (Death comes to Pemberley) della giallista inglese P. D. James.
Il romanzo, che come da tradizione pdjamesiana ruota intorno a un evento di morte violenta, brilla soprattutto per altri aspetti narrativi – in particolare, il talento nella rievocazione delle ambientazioni e dello spirito della società austeniana, e l’introspezione psicologica dei personaggi.
Ne abbiamo parlato il 9 aprile 2016 in Biblioteca Salaborsa a Bologna, a conclusione di una giornata interamente dedicata a Jane Austen (e di cui vi daremo presto un resoconto). Ad introdurre il romanzo ed avviare la conversazione è stata la nostra Mara Barbuni, che qui mette il proprio intervento a disposizione delle lettrici e dei lettori di JASIT.

Ancora grazie a tutti coloro che hanno partecipato alla conversazione in Biblioteca Salborsa lo scorso 9 aprile e a chi leggerà questo articolo. Buona lettura!

Morte a Pemberley, “Jane Austen Book Club”
Biblioteca Salaborsa, Bologna, 9 aprile 2016
di Mara Barbuni

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Phyllis Dorothy James è meglio conosciuta al grande pubblico con le iniziali dei suoi due nomi di battesimo, che hanno creato una sorta di marchio di fabbrica per una delle forme più alte della letteratura gialla contemporanea. Classe 1920 e scomparsa nel 2014, P.D. James iniziò a scrivere negli anni Cinquanta e firmò una ventina di romanzi, alcuni racconti e importanti saggi, tra cui Talking about Detective Fiction (2009, trad. it. A proposito del giallo), in cui esamina la storia e il valore sociologico del giallo dalle sue origini al forte revival contemporaneo. In questo saggio, richiestole dalla Biblioteca Bodleian di Oxford, compare anche un accenno all’idea che James espresse già nel 1998, nel corso di un meeting della Jane Austen Society of North America a Chawton – ovvero che il romanzo Emma, pur non contenendo alcuna scena di assassinio, può essere considerato un detective novel. Scrive James: «Forse l’esempio più interessante di un romanzo non giallo che però si rivela una storia di indagine è Emma di Jane Austen. In questo libro il segreto che diventa il movente della vicenda sono le relazioni sconosciute all’interno del limitato numero di personaggi. Il racconto è circoscritto a una ristretta società in una ambientazione rurale – un elemento che diventerà comune nella letteratura gialla – e Jane Austen ci inganna tramite indizi costruiti molto abilmente. Alla fine, quando tutto viene rivelato e i personaggi finalmente si uniscono ai compagni di vita adatti a loro, ci chiediamo come abbiamo fatto a lasciarci imbrogliare in quel modo».

Il primo giallo di P.D. James, Cover Her Face (Copritele il volto), fu pubblicato nel 1962, e registrava già la presenza del comandante Adam Dalgliesh di Scotland Yard – il personaggio che resterà per sempre legato al nome della scrittrice (come Poirot per Agatha Christie, Sherlock Holmes per Conan Doyle, Maigret per Simenon o Marlow per Chandler). Dalgliesh è un detective estremamente intelligente, ma dotato anche di una inusitata sensibilità e gentilezza nei confronti delle reazioni umane all’assassinio; è un ricco gentiluomo, un poeta (pubblicato), ha un’anima venata da una costante malinconia, guida una Jaguar e alla fine del servizio si rintana nel proprio rifugio, un elegante appartamento della City affacciato sul Tamigi.

Anche Londra, e in senso lato il paesaggio inglese, sono aspetti significativi della narrativa di P.D. James. In certi romanzi la grande città è una protagonista così appassionatamente descritta di tali e tanti passaggi del racconto da diventare a sua volta un personaggio, quasi dotato di una propria essenza vitale. Ad esempio, La stanza dei delitti (Murder Room del 2003; il dodicesimo giallo di Adam Dalgliesh), è particolarmente espressivo nella sua celebrazione metropolitana: «[I]l sogno di Londra era rimasto. Dall’adolescenza in poi si era fatto più forte e aveva assunto la solidità del mattone e della pietra, il riverbero della luce del sole sul fiume, la solennità degli ampi viali e l’angustia delle strette viuzze che portavano a cortili seminascosti. […] Pensava a Londra come un navigante potrebbe pensare al mare: era il suo elemento naturale ma aveva un potere che incuteva timore e lo affrontava con guardinga cautela e con rispetto.»

morte_a_pemberleyIl libro che è oggetto del gruppo di lettura di oggi, Death Comes to Pemberley, è stato pubblicato nel 2011 e tradotto in italiano col titolo di Morte a Pemberley per Mondadori.
In una videointervista rilasciata in occasione dell’uscita del romanzo, P.D. James ha spiegato il motivo che l’ha indotta a partecipare in prima persona al fenomeno degli Austen Inspired Novels, ovvero, come diciamo noi in italiano, dei “derivati” austeniani. L’ho trascritta e ho tradotto i passi più importanti:

«Jane Austen è prepotentemente la mia scrittrice preferita, e lo è da moltissimi anni; ho cominciato a leggerla nella mia infanzia, e i suoi sono stati i primi libri che io abbia letto. Li rileggo ancora e ancora; credo di rileggerli tutti una volta all’anno, e in parte li conosco a memoria. Penso sia così per tutti i suoi ammiratori; lei vive nella nostra immaginazione. Credo sia perché anche i suoi personaggi vivono dentro di noi che ci sembra di conoscerli così da vicino; siamo sempre tentati di chiedere: “Cos’è accaduto dopo?” Tutti i suoi libri finiscono con un buon matrimonio, sono tutte storie che rispondono ad un modello di base – c’è una giovane donna che vive molte difficoltà, ma le supera e alla fine sposa l’uomo che si è scelta. E immagino che noi ci chiediamo, “D’accordo, ma poi cos’è successo? Hanno avuto dei figli? È andato tutto per il verso giusto? Si sono sistemati bene?” Per questa ragione in molti hanno effettivamente scritto dei sequel – io non li ho letti, e non ero minimamente tentata di scriverne uno, perché, essendo una scrittrice, la creazione dei miei personaggi per me è molto importante, e non sentivo il bisogno di usare il lavoro degli altri. Ma l’altra mia passione è scrivere gialli, e ho trovato irresistibile l’idea di mettere insieme questi due miei amori: esaminare un matrimonio felice, come sappiamo è stato quello di Darcy ed Elizabeth, e rispondere ad alcune domande che Orgoglio e pregiudizio lascia irrisolte: la più importante è lo straordinario cambiamento nel carattere di Darcy nel periodo intercorso tra la sua prima proposta di matrimonio ad Elizabeth e la seconda, andata a buon fine. Contemporaneamente, volevo vedere se ero in grado di costruire un giallo con degli indizi e una soluzione razionale che il lettore potrebbe aver scritto di proprio pugno obbedendo alla deduzione logica (gli indizi compaiono tutti nel libro) e arrivare alla fine ad una soluzione del mistero. Ho voluto che l’ambientazione fosse rurale, un’ambientazione che mostrasse il contrasto tra il mistero da una parte e l’ordine, la pace, la civiltà che Pemberley rappresenta dall’altra. Nel libro, Pemberley è il simbolo della civilizzazione raggiunta nella sua epoca; fuori poi ci sono due terreni boschivi, di cui uno è una creazione dell’uomo, il risultato del progetto di un celebre architetto paesaggista; l’altro è invece lo spazio selvaggio, situato a nordovest rispetto alla casa, attraverso cui si trova l’ingresso al quartiere della servitù e il passaggio verso le stalle. Questo territorio rappresenta la tenebra e il mistero, e vi ha luogo una tragedia in conseguenza della quale nessuno osa visitarlo dopo che è sceso il buio. Si presenta dunque questo forte contrasto tra i due spazi, che pure sono così vicini: dalle finestre della casa si vedono, in lontananza, le ombre oscure del bosco».

Leggere questo libro è quasi sentirsi invitati in prima persona a Pemberley, a partecipare dei suoi ritmi, a godere degli incantevoli panorami che si estendono illimitati fuori dalle sue finestre. P.D. James è riuscita ad evocare il mondo austeniano con grande sensibilità e maestria, e con una scrittura bellissima. Già nel Prologo l’autrice riesce a riassumere con straordinario acume e leggerezza l’intera vicenda di Orgoglio e pregiudizio, narrandola come una storia raccolta origliando qua e là fra le case e le botteghe di Meryton, e decorandola quindi con un tono da vera e propria gossip (e uso questa parola nel suo significato di “comare”, immaginando matrone e signore vestite di trine intente a chiacchierare a bassa voce dietro gli angoli delle porte). Ma l’avanzare dei capitoli viene scandito da una modulazione sempre più cupa. La luminosità del romanzo di Jane Austen si attenua gradatamente ma infallibilmente, e presto le ombre del dolore e del mistero si allungano sopra il bosco, il fiume, il cortile, e poi fino a dentro la grande dimora di Pemberley.

Il passo che traduco qui dalla versione originale, che si colloca all’inizio della vicenda, è a questo proposito molto significativo:

«Attardandosi presso la finestra e accantonando le preoccupazioni del giorno, Elizabeth lasciò che gli occhi trovassero riposo su quella bellezza, che le dava calma, ma era sempre cangiante. Il sole scintillava dal cielo di un azzurro chiarissimo, in cui solo poche fragili nubi si dissolvevano, come fili di fumo. […] Poi vide che il vento si era rinforzato. La superficie del fiume era increspata di piccole onde che si riflettevano sull’erba e sui cespugli che lo costeggiavano, le loro ombre interrotte e tremanti sull’acqua agitata.» E poi, questo ancor lieve sentore di minaccia si concretizza nel cuore della sera, quando i signori Darcy e i loro ospiti (tra i quali non mancano Jane e suo marito, Charles Bingley) vengono avvisati dell’arrivo di un trafelato cocchiere. Scrive James: «L’immaginazione le restituì ciò che era troppo lontano per esser visto – le criniere dei cavalli scosse dal vento, i loro occhi selvaggi e le spalle tese fino allo spasimo, e il postiglione ansante sulle redini. Erano troppo lontani perché le ruote si potessero sentire, e ad Elizabeth sembrò di star rimirando una carrozza spettrale, che silente s’involava nella notte di luna, come il temibile messaggero della morte.»

E la morte arriva a Pemberley, mentre «il vento si precipitava d’un tratto all’interno, una forza gelida e irresistibile che sembrava prendere possesso dell’intera casa spegnendo in un momento tutte le candele». Al di là dell’immediata tragedia della morte violenta di un uomo e delle conseguenze giudiziarie che si impongono su chi appare come il suo assassino, questa morte porta con sé un’atmosfera torbida e pesante, piena di pensieri oscuri, di rimorsi, di dubbi fiaccanti. Il protagonista di tali e tante cupe riflessioni è soprattutto Darcy, che a causa dell’omicidio avvenuto sulle sue terre e del processo si ritrova rispedito indietro nel proprio passato e negli imbarazzi e nelle difficoltà che avevano caratterizzato la sua vicenda personale in Orgoglio e pregiudizio. Come lei stessa sostiene nell’intervista, una delle ragioni per le quali P.D. James ha intrapreso la scrittura di un sequel austeniano è stata la necessità per lei di cercare una soluzione al carattere misterioso di questo personaggio, che nella storia originale subisce una trasformazione netta e a tratti inspiegabile; e direi che Morte a Pemberley ci racconta Darcy nella sua immensa umanità, fatta di passione, di amore, di dedizione, ma anche di paure, di ripensamenti e di debolezze.

Nel 2013 la BBC ha trasmesso la miniserie televisiva in tre puntate tratta dal romanzo, che, oltre ad aver enfatizzato più del libro i personaggi femminili, secondo me ha colto e rappresentato proprio le sfaccettature della storia di P.D. James che sprigionano la maggiore bellezza: all’inizio della storia, l’accumularsi di presagi negativi che oscurano la lucentezza della trama originale – e soprattutto, ma non solo, in questa sezione Elizabeth è più protagonista di quanto non sia nel libro, anche grazie alla grande espressività di Anna Maxwell Martin; poi, la suggestiva rievocazione di un ambiente (il bosco, il parco e la casa) e l’esplorazione dei caratteri, particolarmente attenta ai contrasti. Se Jenna Coleman ci presenta la scapestrata Lydia con un’intensità del tutto speciale, io penso che anche i due attori protagonisti, Matthew Rhys e Matthew Goode siano, rispettivamente, i migliori Mr. Darcy e Mr. Wickham di sempre, anche e soprattutto per la loro capacità di mostrare chiaramente i tormenti intimi dei personaggi che interpretano.

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Con i suoi numerosi flashback e nel suo concentrarsi più del libro sulle donne e sulla domesticità, la miniserie BBC rispecchia un’altra caratteristica importante del romanzo di P.D. James, che è stata individuata da moltissimi lettori, talvolta con qualche protesta: lo scarso spessore della trama gialla, denunciato dal fatto che in molti hanno scoperto il nome dell’assassino prima che fosse il finale a rivelarlo. Questa storia, effettivamente, sembra violare quelle che sono le regole del giallo elencate agli esordi della cosiddetta “Golden Age of Detective Fiction” (della quale P.D. James è stata considerata una delle eredi contemporanee). Nel 1927 T.S. Eliot pubblicò un articolo nella rivista letteraria da lui diretta Criterion nel quale tracciava una sorta di elenco delle caratteristiche di un buon racconto giallo; partendo dal presupposto che La pietra di luna di Wilkie Collins fosse il capostipite del genere, Eliot scrisse che le regole da rispettare per la scrittura di una efficace storia del crimine sono:

  • una casa di campagna inglese;
  • un gran numero di sospettati;
  • il fatto che il colpevole si riveli essere il sospettato meno probabile;
  • un omicidio commesso in una stanza chiusa;
  • la ricostruzione del crimine da parte dell’investigatore;
  • un finale a sorpresa;
  • il fatto che la storia non deve sostenersi su avvenimenti soprannaturali o incredibili;
  • la presenza di un investigatore professionista molto talentuoso.

È palese che, a parte un paio di norme, Morte a Pemberley si slega nettamente dalle istruzioni eliotiane; del resto, la stessa James ha affermato di preferire, fra i grandi esponenti della “Golden Age of Detective Fiction”, la scrittrice che metteva in scena gli episodi più realistici piuttosto che sensazionalistici – insomma, di preferire Dorothy Sayers ad Agatha Christie. Io credo che in Morte a Pemberley l’ingrediente del whodunit – inequivocabile sigillo della narrativa di P.D. James – sia il pretesto scelto dall’autrice per togliersi la soddisfazione di scrivere un possibile seguito di Orgoglio e pregiudizio. I facili indizi di decrittazione del mistero sparpagliati nel libro funzionano, secondo me, come le briciole di Pollicino: una sicura segnaletica perché l’appassionato austeniano possa raggiungere quella che è la sua vera casa, ovvero la conclusione di una storia priva di colpi di scena ma di altissima qualità dal punto di vista dello stile e dell’analisi psicologica non solo individuale ma anche di una società e di un’epoca intera. Breve ma incisivo e impeccabile è il ritratto dell’Inghilterra del tempo – nonché dei romanzi di Jane Austen – tratteggiato dal magistrato, Sir Selwyn: «La pace e la sicurezza dell’Inghilterra dipendono da gentiluomini che vivono nelle loro case da buoni possidenti terrieri e padroni, pieni di sollecitudine nei confronti dei domestici, caritatevoli con i poveri e pronti, in qualità di giudici di pace, a prendere parte a quella che è la tutela della pace e dell’ordine nella loro comunità».

Ma a questo punto siamo curiosi di sentire le vostre opinioni, su questi e sui tanti altri aspetti del libro: per esempio i pensieri di Elizabeth, che ci mostrano un lato imprevisto del suo carattere; la valenza nella storia dell’orgoglio, della vergogna, della vanità e del denaro; l’interessante capitolo dedicato al sistema legale inglese del tempo e alle necessarie riforme; l’ingresso prepotente nel racconto di un episodio di guerra; la figura ambigua del colonnello Fitzwilliam e – non da ultimo – il personaggio “inedito” dell’avvocato Alveston. A voi la parola.

(1) Tutte le traduzioni dall’inglese sono di Mara Barbuni.


Il prossimo appuntamento con il Gruppo di lettura di Biblioteca Salaborsa e JASIT è per il 7 maggio 2016, alle ore 16, presso l’Auditorium della biblioteca. Parleremo di una scrittrice considerata una “erede” di Jane Austen, Georgette Heyer, e di uno dei suoi romanzi più famosi, Il dandy della Reggenza. Tutti i dettagli nel post di presentazione dell’incontro.


Gli altri resoconti del JABC:
– Fielding, Burney, Radcliffe al JABC | Resoconto dell’incontro con Serena Baiesi del 16 gen. 2016
Vecchi amici e nuovi amori e i derivati austeniani | Resoconto dell’incontro con Carlotta Farese del 13 feb. 2016

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