Abbiamo tradotto per voi un articolo tratto da Persuasions #13 del 1991, Jane Austen Images of the Body: No Fingers, No Toes di Carol Shields (Department of English, University of Manitoba, Winnipeg A3T 2N2).
L’aspetto fisico in Jane Austen. Niente dita di mani o piedi ¹
“Una metà del mondo non riesce a capire i piaceri dell’altra metà” dice Jane Austen tramite la sua eroina Emma Woodhouse (Emma, cap. 9), e una lettura di Emma suggerisce che l’autrice appartiene a quella metà del mondo che è indifferente alle apparenze fisiche. Le sue complicazioni e svolte narrative vengono generate per caso o in seguito a un ragionamento e mai per necessità o per reazione corporale. Il cervello – poiché Jane Austen si riferisce spesso a quel particolare organo materiale – comanda sul resto del corpo, che viene trattato con cosa? Indifferenza? Mancanza di curiosità? Noncuranza? O forse una metaforica scrollata di spalle che quasi lo cancella. Altrimenti la sua strategia, che sia consapevole o meno, punta a valori che lei crede siano di supporto a una comunità rispettabile di individui.
Allo stesso tempo, non ci viene mai fatto intendere che Jane Austen trovi repellente il corpo. Tutto quel che sappiamo di Emma, per esempio – la sua vivacità, la sua ammirazione per il buonsenso e la franchezza – ci indica che non sia, per natura, eccessivamente pudica. Eppure, tranne che per il cervello, il corpo umano non è menzionato con frequenza in Emma o in qualsiasi altra opera di Jane Austen. La riluttanza a parlare di dettagli anatomici, dei desideri del corpo e delle sue soddisfazioni, rispecchia, naturalmente, particolari attitudini del periodo di Jane Austen, ma è anche coerente col suo genere di scrittura.
Un sottotitolo adatto per questo articolo potrebbe essere “Niente dita di mani o piedi” ¹, poiché queste particolari parti del corpo non vengono citate, neanche una volta, nei suoi libri. Né ci sono fianchi, cosce, stinchi, natiche, reni, intestini, ventri o ombelichi e un’unica menzione a un mal di denti (“Non ebbe nessuna difficoltà a procurarsi l’invito di Isabella, ed ebbe la fortuna di avere una ragione sufficiente per chiederlo, senza ricorrere a una bugia. C’era qualcosa che non andava in un dente. Harriet desiderava davvero, e lo desiderava da tempo, consultare un dentista.” Emma, cap. 52) che lo storico Robert Darnton dice essere la malattia più temuta in tutte le classi sociali del diciottesimo secolo. In totale, se si considerano tutte le opere di Jane Austen, troviamo un mento, dieci caviglie – per lo più distorte – e un fegato. (Sono in debito con Peter L. De Rose e Sterling W. McGuire per A Concordance to the Works of Jane Austen del 1982 per questa informazione esoterica.) Ci sono due ossi (nessuno dei due umano), sette gomiti, cinque spalle, appena due nasi, dieci orecchie, solo undici gambe, due polsi, sei ginocchia, due sopracciglia e quattro ciglia. Quando pensiamo alle centinaia di esseri che popolano i romanzi di Jane Austen, queste parti del corpo sparpagliate sembrano a malapena sufficienti a una prima occhiata. La parola seno è citata sette volte, ma cinque di questi petti singolari appartengono a uomini e non rappresentano un dettaglio fisico, ma il centro dei sentimenti (la parola seno non viene mai usata al plurale). Le persone vengono raramente descritte in termini di atteggiamento fisico; invece è il loro contegno a essere notato; aria è una delle parole predilette da Jane Austen e unisce sostanza ed effetto in un unico pacchetto verbale.
È vero che ci sono 474 occhi, 506 cuori e 368 mani, ma gli occhi, i cuori e le mani di Jane Austen appartengono più all’apparato razionale del diciottesimo secolo che all’anatomia umana. I cuori registrano sensazioni, gli occhi vanno letti come intenzioni e le mani sono usate metaforicamente, pressappoco come usiamo noi la stessa parola, per simboleggiare una transazione umana di qualche tipo. I volti – ce ne sono 160 – esistono principalmente per esprimere una reazione o per trasmettere un pensiero e, difatti, la più astratta espressione riceve 164 menzioni ed esprime più dettagliatamente quel che Jane Austen vuole intendere. Pelle viene impiegata appena quattordici volte, spesso dando la precedenza a un metaforico colorito, che fa intendere la pelle in un periodo di massima bellezza, salute e vigore. Vorrei far notare che ho esitato a mettere troppo peso sulle parole relative alla molta o poca frequenza, soprattutto osservando che Jane Austen non menziona neanche una volta la parola inchiostro come pratico agente della sua espressività, sebbene vi sia un riferimento, appena uno, a un calamaio in Mansfield Park. Ciononostante, le immagini del corpo sono relativamente rare nei suoi scritti, a meno che esse non abbiano acquisito un senso metaforico o astratto.
Naturalmente la ragione in parte – una parte davvero grande – sta nel fatto che Jane Austen è una scrittrice più drammatica che descrittiva, che si preoccupa della moralità e utilizza il discorso come mezzo. Tutti sappiamo quanto si soffermi raramente a descrivere un abito, un pasto o un pezzo di mobilio e come i suoi personaggi dediti a tali descrizioni vengano presentati, con delicatezza o severamente, come esseri inferiori. Pensate, per esempio, a Mrs. Allen in Northanger Abbey che chiacchiera di nastri e mussolina; pensate anche all’immancabilmente carente Frank Churchill che percorre sedici miglia per un taglio di capelli e prosegue, perdendo fatalmente punti nella stima di Emma, a parlare della carnagione di Jane Fairfax, delle sue sopracciglia. È Frank che pronuncia la contestabile parola “pelle”.
Ecco come Jane Austen descrive Harriet Smith: “Era bassa, paffuta e di carnagione chiara, con un bel colorito roseo, occhi azzurri, capelli biondi, lineamenti regolari.” (Emma, cap. 3) Possiamo trovare a malapena qualche informazione in più rispetto a una patente di guida. Il viso di Mrs. Elton “non era affatto brutto” (Emma, cap. 32). Jane Fairfax è alta, ma non troppo. Ed ecco Elinor Dashwood in Ragione e sentimento: “Miss Dashwood aveva una carnagione delicata, lineamenti regolari, e una figura estremamente graziosa.” I lineamenti di Marianne erano “tutti belli” (Ragione e sentimento, cap. 10). Questa è una descrizione minimalista, un elenco spuntato, pressoché insignificante. È chiaro che le preferenze di Jane Austen vadano verso argomenti più acuti, come l’insieme economico-psicologico. L’acerbo giudizio di Mr. Knightley nei confronti di Frank Churchill come un uomo che “sembrava amare senza sentimento” (Emma, cap. 41), o l’elogio di Harriet a Emma per la sua abilità di “vedere in ogni cuore (Emma, cap. 47), un omaggio da prendere con ironia, dal momento che Emma, nel suo tentativo di combinare matrimoni, non riesce a comprendere il cuore di nessuno, men che meno il proprio.
Di tanto in tanto riferimenti fisici vanno di pari passo con l’intuizione psicologica e pertanto acquisiscono un peso. Harriet, ingenua e informe, descrive a Emma come abbia di recente registrato la sua altezza alla fattoria dei Martin e abbia scoperto di essere ancora in crescita. E c’è una scena alquanto curiosa in cui l’annuncio del fidanzamento di Mr. Elton coincide con una discussione riguardante un dono di carne di maiale.
A parte la constatazione che Jane Austen privilegi i dialoghi alle descrizioni, la sua riluttanza a utilizzare descrizioni fisiche rispecchia il periodo e il luogo in cui visse. Le domande, naturalmente, si schiudono per rivelare un quesito più grande: qual è il rapporto tra un testo e il periodo in cui è scritto? Il testo aiuta a comprendere i tempi o sono i tempi a illuminare il testo? Lionel Trilling nella sua introduzione all’edizione Riverside di Emma ammonisce il lettore contro l’ingenua convinzione in ciò che è stato definito “il mondo di Jane Austen”, poiché un tale mondo non esiste. Il romanzo Emma, sostiene Trilling, è un idillio, un sogno di innocenza da cui sono stati sottratti il vero dolore e il giudizio dell’esistenza, di modo che prevalgano soprattutto l’armonia e l’accettazione. Un idillio consente che vi siano una rottura e una riconciliazione nell’amore romantico, ma lascia pochissimo spazio per i dettagli dei corpi umani.
Jane Austen potrà tacere i principali eventi storici della sua epoca, ma i suoi libri sono pieni dell’ossigeno degli argomenti sociali, della cultura e dell’economia a lei contemporanei. Possiamo, per esempio, imparare qualcosa riguardo alla classe dei piccoli proprietari terrieri leggendo Emma e gran parte degli atteggiamenti nei confronti del denaro e delle proprietà nel diciottesimo secolo nelle pagine iniziali di Ragione e sentimento. Sappiamo da un’ampia gamma di altre fonti cosa facevano le persone ai tempi di Jane Austen; ciò che è più difficile da misurare è il loro modo di pensare, perché è un errore credere che la gente del passato pensasse come noi. Robert Darnton affronta direttamente questo problema nel suo libro The Great Cat Massacre del 1984. “Le altre persone sono diverse”, asserisce. Cercando di comprendere questa “diversità” durante il periodo dell’Illuminismo Francese – nel crepuscolo del quale visse Jane Austen – Darnton si propose di entrare nella cultura nel suo momento più opaco, attraverso una storiella, forse, una fiaba o la letteratura popolare. Io propongo di studiare la diversità di Jane Austen attraverso i suoi silenzi, in particolar modo quelli che riguardano le descrizioni del corpo.
Com’è possibile non parlare del corpo quando in esso risiede tanta realtà: passione, sesso e rinascita, crescita, malattia, invecchiamento, dolore e morte? Come si possono definire mascolinità e femminilità, come si ottiene la tensione sessuale senza fare riferimento al corpo? Il corpo umano nella narrativa contemporanea fa parte sia della trama che del paesaggio, del commentario e della conclusione. Siamo ciò che appariamo. Ma anche il corpo umano ha una sua storia ed è stato rappresentato in modo differente nell’arte, come tutti sappiamo. Ricorderete come la Santa Vergine sia stata raffigurata in modo etereo per un secolo, con aspetto terreno in un altro, talvolta fanciulla, talvolta matura, ora innocente, ora esperta, provando proprio come sia instabile il nostro atteggiamento nei confronti del corpo.
Alla fine del diciottesimo secolo il modello gerarchico del corpo – dai tempi antichi – aveva ceduto il passo al modello binario per il quale il fisico maschile e quello femminile venivano visti come complementari. Precedentemente le donne erano considerate ridotte, con meno organi dell’uomo, sebbene l’orgasmo femminile, come quello maschile, fosse ritenuto indispensabile alla riproduzione.
Molte di queste credenze cominciavano a svanire al tempo in cui nacque Jane Austen, ma era un periodo di confusione e anche d’ipocrisia – nel diciassettesimo secolo Pepys ammise di leggere libri lascivi e di bruciarli subito dopo in modo che non venissero scoperti tra gli altri suoi libri. L’etichetta del tardo Medioevo proibiva alle giovani donne di toccarsi il naso o le orecchie o di fissare gli altri negli occhi, e non ci si sarebbe sorpresi nel trovare che una simile proibizione perdurasse ancora alla fine del diciottesimo secolo. Mary Woolstonecraft, una delle prime femministe, fu persuasa dalla teoria liberale che la mente razionale neutrale non avesse sesso, anche quando la sua stessa vita era disturbata e oscurata dalla passione sensuale. Come altre femministe si impegnò nell’affermare che le donne erano prive di passioni. I pensatori più importanti del tempo presero posizioni simili: William Godwin credendo nel completo potere della mente, Tomas Paine dichiarando che “c’è una mattina di ragione che sta sorgendo sul mondo”, Thomas Malthus, d’altro canto, era veementemente in disaccordo, insistendo come Rousseau, che la vita del corpo era reale. Sì, Jane Austen sembra dire, il corpo è reale, ma vale la pena notarlo solo quando è moderato e superato dalla razionalità.
Talvolta dimentichiamo che il corpo umano fosse una terra inesplorata ai tempi di Jane Austen. Fu solo alla fine del diciottesimo secolo che venne pubblicata la prima illustrazione di uno scheletro femminile; prima di allora uno scheletro maschile doveva andar bene per entrambi i generi. Fu nel diciannovesimo secolo che John Ruskin scoprì, con grande orrore, che le donne possedessero pelo pubico. Prima del ventesimo secolo nessuno aveva visto un ovulo umano o lo sperma e anche nel 1930 persisteva l’equivoco dell’ovulazione femminile (e in buona parte del mondo persiste ancora oggi.)
Vorrei rivolgermi brevemente al romanzo di Jane Austen, Persuasione, resistendo, se ci riesco, all’impulso di ridurre questo splendido libro a mera teoria. Serve, però, quasi con la chiarezza di un diagramma, a spiegare la nozione del potere della mente. Anne Elliot, se ricordate, era stata “una ragazza molto graziosa, ma il rigoglio giovanile era svanito presto” (Persuasione, cap. 1). A ventotto anni era “sfiorita e smagrita”, così, quando Frederick Wentworth la vede dopo molti anni, confessa di averla trovata “terribilmente cambiata” (Persuasione, cap. 7). Nel corso del romanzo, con il rianimarsi dell’amore tra Anne e Frederick, le viene restituita la bellezza, anche se non il fiore della giovinezza. Le sue guance si illuminano, gli occhi luccicano, viene descritta come elegante e Frederick la rassicura che non ha “perso nulla del fascino della prima giovinezza” (Persuasione, cap. 23). Anche il padre, Walter Elliot, intenditore dell’aspetto fisico, si accorge dei miglioramenti di Anne.
Il valore che i vari personaggi di Persuasione assegnano all’aspetto fisico li divide ordinatamente in due categorie dei seri e meritevoli da una parte e dei frivoli e sciocchi dall’altra. Sappiamo, per esempio, che dobbiamo ammirare l’Ammiraglio Croft quando apprendiamo che ha rimosso i numerosi specchi dallo spogliatoio di Sir Walter e che non dobbiamo rispettare la sorella di Anne, Elizabeth, perché dichiara categoricamente che “modi gradevoli possono far risaltare bei lineamenti, ma non possono certo modificare quelli brutti.” (Persuasione, cap. 5). Il capitano Harville, uno dei personaggi che dovremmo stimare per buonsenso, durante una discussione sulla relativa fedeltà di uomini e donne dice: “credo che ci sia un’analogia tra la costituzione fisica e quella spirituale.” (Persuasione, cap. 23) Ciò che Jane Austen sembra volerci dire è che il corpo non ha importanza a meno che non venga associato alla ragione.
La scarsità di rappresentazioni fisiche in Emma colpisce particolarmente perché si tratta di un romanzo in cui il motivo più marcato è la malattia, ma quasi sempre questa viene svilita come evocazione della mente. La paranoia di Mr. Woodhouse percorre tutto il libro come un filo comico proprio perché non viene mai tradotta in una seria infermità fisica. La figlia maggiore è sua erede sotto questo aspetto; ci viene detto che “qualsiasi problema di salute era un’ottima raccomandazione per lei” (Emma, cap. 52), e a sua figlia, la piccola Bella, viene conferita, quasi arbitrariamente, una debolezza alla gola. Ci si riferisce alla malattia di Mrs. Churchill sempre con una strizzata d’occhio, e la salute di Jane Fairfax – il suo pallore la sua debolezza – va e viene in risposta alla sua relazione con Frank Churchill e viene a mancare in modo più preoccupante dopo le loro liti di innamorati. Il mal di gola di Harriet, sebbene appaia autentico, è accompagnato da avvilimento e capita prima di un importante incontro con Mr. Elton. E che dire di Mr. Perry, il farmacista, che svolazza tra le pagine del libro come un fantasma, entrando persino nei sogno di Frank Churchill, dispensando, sembra quasi, immagini di infermità anziché di guarigione. Non ci viene detto nulla delle sue cure, ma solo di quanto sia contagiosa la sua agitazione. Ma se le malattie sono psicosomatiche – e il lettore non può fare a meno di percepire che questo sia l’unico genere di malattie che interesserebbero Jane Austen – ciononostante esse sono il veicolo per trasmettere una temperatura emotiva. Febbre, agitazione, affanno, pallore: questi sintomi sono utilizzati come segnali per indicare le temporanee carenze corporali per privilegiare la ragione sulle emozioni o, detto con i termini di Jane Austen, la ragione sul sentimento.
I progressi di Emma nella comprensione di se stessa è accompagnata da una crescita del suo aspetto razionale, e questo possiamo vederlo più chiaramente nel momento in cui Mr. Knightley fa la sua dichiarazione d’amore. Ascoltando le sue parole ardenti, lei è “quasi in procinto di soccombere all’agitazione di quel momento”. Quasi, scrive Jane Austen, ma non proprio. E poi ci viene detto che “mentre lui parlava, la mente di Emma era in subbuglio” (l’enfasi è mia). (Emma, cap. 49). Mentre continua ad ascoltare con attenzione ogni parola pronunciata da Mr. Knightley, allo stesso tempo sta inventariando la situazione, rallegrandosi dell’ardore del suo innamorato, sommando la delusione di Harriet e congratulandosi con se stessa di non aver svelato il segreto dell’amica; in breve, è impegnata come un bravo ragioniere a calcolare il bilancio tra fortune e sfortune. Riguardo a Mr. Knightley, gioisce perché Emma adesso possiede “la mano e la parola di lei”, un sentimento che potrebbe colpire un lettore moderno come decisamente gelido rispetto ad “anima e corpo”, ma io penso che, se si mette da parte l’interpretazione legalistica di “mano e parola”, le due frasi grossomodo si equivalgano.
Era una visione di “felicità domestica” che Mr. Knightley aveva scoperto nella casa del fratello a Londra dove, se ricordate, “se n’era andato per imparare a essere indifferente.” (Emma, cap. 49). E la felicità domestica, un cosiddetto matrimonio tra compagni può, credo, essere immaginato tra Emma e Mr. Knightley, un matrimonio non precisamente casto – poiché non va mai perso di vista lo scopo riproduttivo del matrimonio – ma principalmente l’unione di due intelligenze rispettose l’una dell’altra e affezionate, il matrimonio di due menti. George Knightley manifesta la sua fisicità quando prende parte a un ballo – è come se in quella scena gli venga fornito un corpo – e sostiene di “amare i caratteri schietti” (Emma, cap. 33), ma, ciononostante, immaginare le chiacchiere tra le lenzuola di Mr. Knightley potrebbe causare una certa ilarità nel lettore moderno.
Si è indotti a pensare che l’infrequenza di immagini o reazioni corporali in Emma potrebbe insidiare la solidità del mondo creato da Jane Austen, e trasformare i suoi personaggi in marionette. Difatti, la rarità di tali allusioni dà loro potere, talvolta; è come se particolari fisici di minima importanza fossero parole in codice per sensazioni più grandi. Quando Mr. Knightley, nel capitolo 49, prende il braccio di Emma sotto il suo e se lo preme sul cuore, siamo pienamente convinti del suo desiderio, poiché non ha fatto nulla del genere nelle pagine precedenti. Quando preme ancora il braccio nel paragrafo successivo, capiamo che siamo in presenza di una grande passione. In cambio, le “guance brillanti” di Emma ci informano della sua temperatura emozionale, della sua confusione, e della felicità che sta per sopraffarla. Lei si consente un'”ondata di piacere”, una delle rare situazioni del romanzo in cui il corpo è ricettore di stimoli emozionali, sebbene Emma si imporpori di tanto in tanto o arrossisca di vergogna e una volta versi anche lacrime.
In Emma, i riferimenti al corpo tendono a raggrupparsi attorno ai momenti emozionali dei personaggi secondari o anche si associano all’analisi del personaggio. L’attenzione di Frank Churchill per il taglio dei capelli lo rende superficiale ai nostri occhi; Mr. Knightley lo disapprova e così facciamo noi. Quando la compostezza di Frank è scossa dalla calura, Emma lo disprezza. E quando Frank dichiara di non riuscire “a separare Miss Fairfax dal suo colorito” (Emma, cap. 24) si degrada ulteriormente. Curiosamente, Miss Fairfax rimane ostinatamente opaca come personaggio, sebbene Jane Austen dedichi generose attenzioni al suo aspetto fisico – ciglia, sopracciglia, colorito – più che a chiunque altro. Non sappiamo nulla delle sopracciglia di Emma o del colore dei suoi capelli ma, ciononostante, conosciamo Emma. ²
Dire che la scrittura di Jane Austen sia indifferente al corpo umano non vuol dire asserire precisamente che la sua visione del mondo lo escluda. Come sappiamo, lei è una profonda realista che comprende le follie della natura umana e la sua abilità di migliorarsi. Decenza nel XVIII secolo significava, sia per gli uomini che per le donne, sincerità, altruismo e sollecitudine per la felicità altrui. Il corpo, come il calamaio di Jane Austen, era sempre visibile, un ostinato continuum, troppo banale, forse, per richiederne una descrizione o per essere messo in mostra.
Lei potrebbe, per di più, chiederci di porci domande sul nostro atteggiamento verso il corpo come una sorta di software letterario. Perché tutta l’influenza e la vulnerabilità del corpo dimostrano che, per lei, la vera danza della vita risiede nel linguaggio e nell’intelletto.
OPERE CITATE
Austen, Jane. Emma. Ed R.W. Chapman. 3rd Ed. London: Oxford University Press, 1933.
Boone, Joseph Allen. Tradition Counter Tradition: Love and the Form of Fiction. Chicago: University of Chicago Press, 1987.
De Rose, Peter L. and S.W. McGuire, eds. A Concordance to the Works of Jane Austen. 3 vols. New York: Garland Publishing, Inc., 1982.
¹ I “toes” (le dita dei piedi) in effetti non sono mai citati nei romanzi (a parte un “tiptoe” in Northanger Abbey) ma le dita delle mani, “finger/fingers”, vengono citate ben dodici volte nei suoi romanzi, smentendo il sottotitolo dell’articolo.
² Eppure Emma è l’unico personaggio di Jane Austen di cui ci viene detto il colore degli occhi, nocciola (“Che occhi! i veri occhi nocciola, e così brillanti! un personale regolare, un’espressione aperta, con una carnagione! oh! un colorito roseo che sprizza salute;” (Emma, cap. 5), malgrado i riferimenti a occhi chiari o scuri di altri personaggi.
Tutte le citazoni dai romanzi di Jane Austen sono tradotte da G. Ierolli
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Traduzione e pubblicazione on-line autorizzata da “JASNA-Persuasions on-line”, che non è responsabile dell’accuratezza della traduzione.