Il ballo de I Watson

L’articolo originale è apparso sulla rivista di Jane Austen Society of Italy “Due pollici d’avorio”, numero 9 (ottobre 2017), pagg. 17-25. Per richiedere l’intero numero, scrivere a info@jasit.it.

«Un ballo in una città di provincia; alcune coppie che si incontrano e si tengono per mano in una sala dove si mangia e si beve un po’; e, come ‘catastrofe’, un ragazzo che viene umiliato da una signorina e trattato con bontà da un’altra. Nessuna tragedia, nessun eroismo. Eppure, per qualche motivo, la scenetta ci commuove in modo del tutto sproporzionato all’apparente banalità. Il comportamento di Emma nella sala da ballo ci ha permesso di capire quanto riguardosa, tenera e spinta da sentimenti sinceri si sarebbe rivelata nelle crisi più gravi della vita che inevitabilmente, mentre la seguiamo, si dispiegano ai nostri occhi. Jane Austen padroneggia un’emozione molto più profonda di quanto non emerga in superficie. Ci stimola a fornire quel che manca. Lei pare offrire solo un’inezia che però si espande nella mente del lettore arricchendo certe scene a prima vista insignificanti di una vitalità quanto mai duratura»[1].

Il frammento di circa 17.500 parole che Jane Austen cominciò a scrivere nel 1803, forse incoraggiata dall’accettazione per la pubblicazione di Susan (che poi invece sarebbe stato pubblicato solo postumo col titolo di Northanger Abbey) contiene proprio all’inizio una scena perfetta di un ballo pubblico, un ballo che serve a presentare l’eroina – Emma Watson, appena ritornata in casa del padre in Surrey dopo aver vissuto piuttosto agiatamente nello Shropshire, quasi adottata da una zia – alla comunità da cui è mancata per buona parte della sua vita, dal momento che ha vissuto nello Shropshire per ben quattordici anni. Diventata vedova, la zia ha pensato bene di risposarsi e il nuovo marito, forse preoccupato che la moglie volesse destinare una parte delle sue ricchezze a Emma, ha preferito rimandarla dal padre.

Jane Austen usa l’occasione del ballo anche come espediente per presentare buona parte dei personaggi che dovevano essere presenti nel romanzo, facendoci intravedere attraverso il loro comportamento nella sala e sulla pista da ballo la loro natura e quella che sarebbe stata la loro condotta nel prosieguo delle vicende.

Prima che il mondo sapesse dell’esistenza di questo splendido seppur grezzo frammento, lasciato da Cassandra alla nipote, Caroline Austen, un’altra nipote, Catherine Anne Hubback, figlia di Frank Austen – che non aveva neanche conosciuto zia Jane, ma che aveva avuto modo di leggerlo finché era stato nelle mani di zia Cassandra – riprese e completò il romanzo, pubblicandolo in tre volumi nel 1850 col titolo di The Younger Sister. Fu forse per questo che, nella seconda edizione del 1871 della biografia della zia – A Memoir of Jane Austen – James Edward Austen-Leigh, fratello di Caroline Austen, pubblicò il frammento attribuendogli il titolo che noi oggi utilizziamo, The Watsons.

Rientrata in Surrey per condividere con le sorelle e i fratelli una vita piuttosto modesta rispetto a quella a cui è abituata, Emma Watson viene trattata con una certa benevolenza dalla sorella Elizabeth, di nove anni maggiore di lei, ma si rende presto conto che tra le sue sorelle – soprattutto Penelope e Margaret, che però non incontra subito – c’è una certa competitività nel conquistare il favore dei vari gentiluomini nel timore che, essendo ancora zitelle alla morte del padre, siano costrette a vivere della carità del fratello maggiore Robert e della moglie Jane (il cui personaggio somiglia pericolosamente alla Mrs. Elton di Emma e alla Fanny Dashwood di Ragione e sentimento) o della clemenza di qualche altro congiunto.

È la sorella maggiore Elizabeth che la accoglie e le parla della famiglia filtrando il tutto attraverso il proprio punto di vista, e la sprona poi ad andare al primo ballo della stagione, approfittando della generosità degli Edwards, che dopo il ballo la ospiteranno in casa loro per la notte, come hanno fatto nel corso degli anni con tutte le sorelle Watson. Questa abitudine ha un certo sapore autobiografico: Jane e Cassandra Austen, infatti, quando frequentavano le Assembly Rooms di Basingstoke, solevano fermarsi per la notte a Manydown Park, la casa delle loro carissime amiche Alethea, Elizabeth e Catherine Bigg.

Parlando a Emma di alcune delle persone che interverranno al ricevimento nelle sale della locanda del Cervo Bianco, Elizabeth crea forse dei pregiudizi nella sorella minore.

«Forse Tom Musgrave ti noterà, ma ti consiglio di non dargli nessun incoraggiamento. Generalmente fa la corte a ogni ragazza nuova, ma è un gran cascamorto e non ha mai intenzioni serie.»
«Mi sembra di averti già sentito parlare di lui», disse Emma. «Chi è?»
«Un giovanotto molto ricco, del tutto indipendente e notevolmente simpatico, il beniamino di tutti dovunque vada. La maggior parte delle ragazze da queste parti sono innamorate di lui, o lo sono state. Credo di essere l’unica a esserne scampata con il cuore indenne, eppure sono stata la prima a cui ha fatto la corte, quando è arrivato qui sei anni fa; e di corte me ne ha fatta davvero tanta. Qualcuno dice che da allora non gli sia mai più piaciuta tanto nessuna ragazza, anche se ha sempre particolari attenzioni per l’una o per l’altra.» […]
«La tua descrizione di questo Tom Musgrave, Elizabeth, mi fa venire pochissima voglia di conoscerlo.»
«Hai paura di lui, non mi meraviglia.»
«No, davvero; non mi piace e lo disprezzo.»
«Non piacerti e disprezzare Tom Musgrave! No, questo non succederà mai. Ti sfido a non essere deliziata da lui se ti nota. Spero che balli con te, e credo proprio che lo farà, a meno che gli Osborne non arrivino in ampia compagnia, e allora non parlerà con nessun altro.»
«Sembra che abbia modi affascinanti!» disse Emma. «Be’, vedremo quanto ci troveremo irresistibili, Mr. Tom Musgrave e io. Suppongo che lo riconoscerò non appena entrata nella sala da ballo; deve portare in faccia i segni del suo fascino»[2].

Elizabeth la mette sull’avviso anche riguardo alle preferenze della figlia dei suoi ospiti, di cui è innamorato il fratello Sam, che purtroppo non potrà intervenire al ballo per impegni di lavoro (fa il chirurgo, ovvero il surgeon, un ruolo di certo meno prestigioso del physician, il medico che non si sporcava le mani). Mary Edwards sembra subire invece il fascino della divisa, come Lydia e Kitty Bennet in Orgoglio e pregiudizio.

«Devi stare attenta a chi ballerà con Mary Edwards.»
«Terrò a mente i suoi cavalieri se ci riesco, ma lo sai che per me saranno tutti sconosciuti.»
«Guarda solo se balla più di una volta con il Capitano Hunter; i miei timori sono in quella direzione. Non che al padre o alla madre piacciano gli ufficiali, ma se lui lo fa, capisci, è finita per il povero Sam. E ho promesso di scrivergli con chi ballerà».

In Elizabeth c’è una piccola dose di rimpianto di una persona che sa di dover ormai rinunciare alle delizie del rapido movimento perché ormai, superata da un anno la soglia dei ventisette anni, può considerarsi definitivamente una zitella; pertanto è rassegnata a lasciare che siano le sorelle più giovani ad avere le opportunità di divertirsi e di trovare dei corteggiatori; ma non le dispiacerebbe poter partecipare alla serata solo per vedere, forse per poterne poi discutere con la stessa Emma.

«Mi piacerebbe poterti dare un’occhiata, Emma. Se solo fosse una buona giornata per il babbo, mi coprirei bene, e, non appena preparato il tè per lui, James potrebbe accompagnarmi, e sarei da te in tempo per il primo ballo».

Ma poi, quando Emma – preoccupata di potersi sentire a disagio perché non conosce nessuno e perché teme di aver rubato alla sorella maggiore il suo divertimento – si offre di prendersi cura del padre e di cederle il posto, Elizabeth rifiuta categoricamente perché sa che sarebbe molto più facile per la sorella minore – che ha la gioventù dei diciannove anni e il fascino della novità – trovare dei corteggiatori e sistemarsi, togliendo a una famiglia con un padre vedovo e malato e in una situazione finanziaria non delle più rosee, la preoccupazione di una figlia in più di cui occuparsi.

«Mia carissima Emma», esclamò con calore Elizabeth, «pensi che farei una cosa del genere? No, per tutto l’oro del mondo; ma non dimenticherò mai la tua bontà nel propormelo. Devi avere un carattere dolce, davvero! Una cosa simile non mi è mai capitata! E veramente rinunceresti al ballo, per farci andare me? Credimi, Emma, non sono così egoista. No, anche se ho nove anni più di te, non sarò io a impedirti di farti vedere. Sei molto carina, e sarebbe molto brutto non permetterti di avere una possibilità per fare la tua fortuna, come ne abbiamo avute tutte noi. No, Emma, se qualcuno resterà a casa questo inverno, non sarai tu. Sono sicura che non avrei mai perdonato chi mi avesse negato un ballo a diciannove anni».

Così Elizabeth accompagna Emma a casa degli Edwards con «i suoi vestiti migliori», utilizzando il «vecchio calessino», sguazzando «lungo la stradina fangosa» e continuando ad aggiornarla sulla famiglia e i possibili partecipanti al ballo, per poi andare via di corsa, lasciandola nell’imbarazzo di dover conversare con persone viste una sola volta – dunque dei perfetti estranei – dopo averle dato parecchio di cui pensare degli abitanti di D. e persino della propria famiglia.

«Anche la sua conversazione con Elizabeth, che le aveva fatto nascere dei sentimenti spiacevoli nei confronti della sua stessa famiglia, l’aveva resa più vulnerabile a impressioni sgradevoli di qualsiasi altra origine, e aveva accresciuto il suo imbarazzo al pensiero di entrare con tanta fretta in confidenza con conoscenze così superficiali».

Tuttavia, non appena rientrato, Mr. Edwards, che ha «un’aria molto più disinvolta e comunicativa delle signore della famiglia», riesce a rilassare l’atmosfera con la notizia della presenza degli Osborne, i signori locali, al ballo.

«Allora, Mary, ti porto buone notizie. Gli Osborne saranno di sicuro al ballo stasera. Al Cervo Bianco sono stati ordinati i cavalli per due carrozze, per essere a Osborne Castle alle nove.»
«Ne sono lieta», osservò Mrs. Edwards, «perché la loro partecipazione dà lustro alle nostre feste. Il fatto che gli Osborne vengano al primo ballo, invoglierà tantissima gente a partecipare al secondo. È più di quanto meritino, poiché, in effetti, non aggiungono nulla ai piaceri della serata, arrivano così tardi, e se ne vanno così presto; ma i grandi hanno sempre il loro fascino».

È chiaro che i signori locali tendessero a far desiderare la loro presenza durante le riunioni mondane del paese, perché frequentate da persone inferiori a loro sulla scala sociale e poiché di certo non all’altezza delle serate della Season londinese a cui erano abituati, tuttavia sapevano che la loro benevolenza nel partecipare li avrebbe fatti apprezzare dai loro vicini, rendendo la serata più interessante e più animata. Lord Osborne «non amava la compagnia delle signore, e non ballava mai», ma partecipava ai balli perché riteneva «opportuno compiacere i suoi concittadini».

Gli Edwards con Emma sono tra i primi ad arrivare al Cervo Bianco come di consueto, perché Mrs. Edwards possa prendere facilmente posto accanto al caminetto. Sulla porta della locanda incontrano Mr. Musgrave che non è ancora vestito per la serata; come aveva predetto Elizabeth: «se vengono gli Osborne, li aspetterà in corridoio, ed entrerà con loro».

E ancora, proprio come aveva anticipato Elizabeth, Mary Edwards viene subito avvicinata da un ufficiale:

«Che diceva chiaramente alla sua compagna “sono il Capitano Hunter”, ed Emma, che in quel momento non poté fare a meno di osservarla, ne vide l’aspetto piuttosto turbato, ma in nessun modo dispiaciuto, e udì un impegno per i primi due balli, che le fece pensare a suo fratello Sam come a un caso disperato».

Non appena entra nella sala da ballo, Emma è guardata con ammirazione.

«Un volto nuovo, e molto grazioso per giunta, non poteva essere ignorato; il suo nome fu bisbigliato da un gruppo all’altro, e non appena l’orchestra, cominciando a suonare un pezzo famoso, diede il segnale che chiamava i giovani ai loro doveri, e i ballerini al centro della sala, si trovò impegnata a ballare con un collega ufficiale, presentato dal Capitano Hunter. Emma Watson non era più alta della media, ben fatta e rotondetta, con un’aria di perfetta salute. La carnagione era molto scura, ma luminosa, liscia e colorita, il che, insieme agli occhi vivaci, a un sorriso dolce e a un’espressione aperta, le donava una bellezza che attirava, e faceva sì che la bellezza fosse accresciuta dalla conoscenza».

Rolinda Sarples – The Cloak-room, Clifton Assembly Rooms

Dopo aver ballato i primi due balli con gran divertimento, Emma si rende conto che la sala è in fermento per l’annunciato arrivo degli Osborne. È proprio assieme agli Osborne che arriverà quello che sarebbe dovuto essere il protagonista maschile della storia nelle intenzioni di Jane Austen. Ma cosa potrebbe accomunare un uomo appartenente all’aristocratico clan degli Osborne alla figlia di un povero ecclesiastico? Come poter presentare l’eroina all’eroe della storia? L’ingegnoso espediente che Jane Austen utilizza è un ragazzino di dieci anni, Charles Blake, che, appassionato di ballo e impaziente di mettere in atto quello che ha imparato nel corso delle lezioni di ballo e di etichetta, ha già prenotato per i primi due balli di quella sera Miss Osborne.

Trovatasi per caso dopo aver terminato di ballare in mezzo al loro gruppo, Emma osserva con indulgente simpatia l’entusiasmo del piccolo Charles e l’orgogliosa condiscendenza della madre, Mrs. Blake, sorella vedova di Mr. Howard, l’ex precettore di Lord Osborne ora pastore della parrocchia del castello. Miss Osborne, però, considera probabilmente di poco conto l’impegno con il piccolo Charles, e poco dopo Emma vede:

«Il più bello degli ufficiali dirigersi verso l’orchestra per ordinare il ballo, mentre Miss Osborne, passandole davanti, disse di corsa al suo piccolo cavaliere in attesa: “Charles, ti prego di scusarmi se non mantengo la mia promessa, ma per i prossimi due balli sono impegnata con il Colonnello Beresford. So che mi scuserai, e sicuramente ballerò con te dopo il tè”. E, senza aspettare risposta, si rivolse di nuovo a Miss Carr, e un minuto dopo si avviò ad aprire le danze al braccio del Colonnello Beresford.»

La delusione del piccolo Charles, prima tanto elettrizzato, è evidente, malgrado «uno sforzo di infantile coraggio» di non darla a vedere; Emma ne prova una grande compassione e, rivelando una grande tenerezza di carattere, si offre di sostituire Miss Osborne come dama del ragazzino. «Emma, non pensò né valutò; sentì e agì. “Sarei molto felice di ballare con voi, Signore, se vi fa piacere”, disse, porgendogli la mano con spontanea giovialità.»

Questo tema del “salvataggio” in una sala da ballo verrà poi utilizzato anche in Emma, quando al ballo al Crown Mr. Elton ignorerà con disprezzo Harriet Smith, rifiutandosi di invitarla a ballare, e Mr. Knightley, che di solito preferisce restare ai margini della pista da ballo a osservare e a chiacchierare con altri gentiluomini, la salverà dall’umiliazione con un tempestivo invito. In entrambi i casi, gli autori dei salvataggi riveleranno la loro natura altruistica e il loro gesto li farà ammirare non solo da coloro che sono stati “salvati”, ma anche dai futuri partner di vita.

Il piccolo Charles Blake torna a essere entusiasta del ballo, e lo è ancor più della sua dama. Malgrado tutte le emozioni degli ultimi minuti, il bambino ricorda perfettamente l’etichetta della sala da ballo – al contrario di Miss Osborne – ed è in grado non soltanto di danzare con competenza, ma anche di condurre una cortese conversazione con la propria dama.

«Scoprì che il suo piccolo cavaliere, sebbene impegnato soprattutto nel ballo, non era incapace di parlare, quando c’erano domande o osservazioni che gli permettevano di dire qualcosa, e apprese, dopo un’indagine praticamente inevitabile, che aveva due fratelli e una sorella, che loro e la mamma vivevano con lo zio a Wickstead, che lo zio gli insegnava il latino, che amava molto leggere e aveva un cavallo suo regalatogli da Lord Osborne, e che era già stato una volta a caccia con i cani di Lord Osborne.»

Questa coppia non può non destare curiosità nella sala, dal momento che la nuova arrivata – così graziosa – ha manifestato un carattere tanto sensibile. Soprattutto il gruppo di Lord Osborne rivolge occhiate curiose a Emma e domande e osservazioni a Charles. Prima Miss Osborne commenta sulla fortuna di avere una partner addirittura migliore di lei, poi:

«Tom Musgrave, che stava ballando con Miss Carr, le lanciò molte occhiate curiose, e dopo un po’ arrivò lo stesso Lord Osborne, che, con la scusa di parlare a Charles, si fermò a guardare la sua dama. Anche se piuttosto imbarazzata dal sentirsi così osservata, Emma non si pentì di quello che aveva fatto, tanta era la felicità che aveva procurato sia al ragazzo che alla madre; quest’ultima cercava continuamente di cogliere ogni occasione per rivolgersi a lei con la più calorosa delle cortesie.»

Infine il piccolo Charles la indica allo zio, Mr. Howard, durante la pausa per il tè. «Oh! zio, guarda la mia dama. È così carina!». E Mrs. Blake, la madre di Charles, la presenta al fratello. «La vostra bontà con Charles, mia cara Miss Watson, ha conquistato tutta la sua famiglia. Permettetemi di presentarvi mio fratello, Mr. Howard.»

Ecco che quelli che sarebbero dovuti essere i due protagonisti del romanzo nei piani di Jane Austen si sono incontrati. Lui le chiede subito i successivi due balli e lei accetta, ma poi vengono «immediatamente spinti in direzioni opposte», per rimandare la conoscenza più approfondita al piacere della pista da ballo.

Nel frattempo Lord Osborne è molto curioso di conoscere la giovane Emma Watson, ma decide di farlo con cautela, mandando avanti il fido “galoppino”, Tom Musgrave, che ballerà con lei per conto suo e gliela presenterà solo se si rivelerà all’altezza di Sua Signoria.

«Perché non ballate con quella bella Emma Watson? Voglio che balliate con lei, e io verrò a mettermi accanto a voi.»
«Mi stavo decidendo a farlo proprio in questo momento, milord; mi farò presentare e ballerò subito con lei.»
«Sì, fatelo, e se scoprite che non ama sentire chiacchierare molto, dopo un po’ potete presentarmi.»
«Benissimo, milord. Se è come le sorelle, vorrà solo essere ascoltata. Andrò subito.»

Quando Tom Musgrave scopre che Emma è già impegnata con Mr. Howard, Lord Osborne commenta dicendo: «Per me va bene lo stesso», e quindi appare ripetutamente alle costole del suo ex precettore per osservare da vicino la bella Emma Watson. Questo comportamento di Lord Osborne è quanto mai bizzarro, quasi da voyeur. La sua riluttanza a ballare e la cautela nel mandare avanti Tom Musgrave per conoscere Emma non doveva essere insolita da parte dei nobili che si trovavano a frequentare ambienti socialmente inferiori. Del resto, ci ricorda un simile atteggiamento da parte di Darcy al ballo pubblico di Meryton quando dice a Bingley:

«Non lo farò di sicuro. Sai quanto lo detesto, a meno che non conosca bene la mia dama. In un posto come questo sarebbe insopportabile. Le tue sorelle sono impegnate, e nella sala non c’è nessun’altra donna con la quale per me ballare non sarebbe una punizione»[3].

E Jane Austen, che probabilmente trovava ridicola tutta quell’alterigia, non manca mai di presentarci la situazione con una punta d’ironia.

I balli di Emma con Mr. Howard sono piacevoli, se si eccettua l’eccentrica invadenza di Lord Osborne e l’impressione che finiscano troppo in fretta.

Non appena Mr. Howard finisce di ballare, gli Osborne decidono di lasciare il Cervo Bianco, mentre Tom Musgrave rimane alla locanda con l’intenzione di non godere più della serata adesso che Lord Osborne non è più presente.

«Ce ne andiamo, finalmente», disse Sua Signoria a Tom. «Per quanto tempo resterete in questo luogo celestiale? fino all’alba?»
«Parola mia no! milord, Vi assicuro che ne ho abbastanza. Non mi farò rivedere una volta avuto l’onore di accompagnare Lady Osborne alla carrozza. Mi ritirerò nel modo più discreto possibile nell’angolo più remoto della casa, dove ordinerò un bel piatto di ostriche e me ne starò a meraviglia.»

Ed è proprio così che farà. Un personaggio che ci era stato presentato da Elizabeth Watson come un uomo dal fascino irresistibile, a cui nessuna delle sorelle Watson tranne lei è riuscita a opporsi, così come molte delle altre giovani del circondario, si mostra a Emma e ai lettori con un atteggiamento servile nei confronti del clan degli Osborne, quasi da Mr. Collins a cospetto di Lady Catherine de Bourgh. Per il resto della serata si ritirerà col suo piatto di ostriche perché teme che Lord Osborne venga a sapere che ha trovato divertente la serata anche dopo che lui è andato via.

La mancanza di interesse di Emma in lui lo irriterà. E il desiderio di conquistarla accrescerà quanto più inarrivabile gli sembrerà la sua preda, come accade a Henry Crawford con Fanny Price in Mansfield Park. Ma cosa sarebbe accaduto quando Lord Osborne gli avesse espresso le sue intenzioni di corteggiare a sua volta Emma Watson? Purtroppo non lo sapremo mai, e Tom Musgrave resterà un mistero irrisolto, anche perché Jane Austen non rivelò mai a Cassandra cosa ne avrebbe fatto di lui se avesse proseguito la stesura del romanzo.

Dopo un’altra serie di due balli la riunione si conclude; Emma sente la mancanza del gruppo degli Osborne in cui si è trovata coinvolta, «anche se per certi aspetti in modo sgradevole», e trova i due ultimi balli «piuttosto fiacchi a paragone degli altri», ma la serata le sembra fin troppo breve, come sempre, quando ci si diverte: «Mia cara Miss Edwards, com’è finito presto! Avrei voluto che ricominciasse tutto da capo!»

Una volta rientrati a casa, Miss Edwards rivela di non aver proprio osservato l’etichetta nella scelta dei suoi cavalieri, ma di aver ballato solo con il capitano Hunter e i suoi amici, a volte pasticciando con gli inviti e rifiutando partner che i genitori avrebbero ritenuto molto più appropriati degli ufficiali. Sarebbe stato interessante vedere cosa avrebbe potuto combinare questa novella Isabella Thorpe con il fratello della protagonista, Sam Watson, il modesto chirurgo. Mrs. Edwards è alquanto delusa dal comportamento della figlia, ma dovrebbe farsi un esame di coscienza, perché buona parte della colpa è da attribuire proprio alle sue scarse attenzioni in qualità di chaperon.

Le notizie sul prosieguo di questo frammento riportate da James Edward Austen-Leigh sono piuttosto scarne, perché basate sui ricordi di quanto raccontato da zia Cassandra alle nipoti.

«Quando la sorella dell’autrice, Cassandra, mostrò il manoscritto di questo lavoro a qualcuna delle sue nipoti, disse loro anche qualcosa sul seguito della storia, dato che con questa cara sorella – anche se, credo, con nessun altro – sembra che Jane abbia parlato liberamente di ogni lavoro che avesse tra le mani. Mr. Watson sarebbe morto presto e Emma costretta a dipendere per una casa dalla meschinità del fratello e della cognata. Avrebbe rifiutato la proposta di matrimonio di Lord Osborne, e molto dell’interesse del racconto sarebbe derivato dall’amore di Lady Osborne per Mr. Howard, innamorato invece di Emma, che alla fine avrebbe sposato»[4].

E, in effetti, la scena del ballo ci fa già intuire molte di quelle che erano le intenzioni dell’autrice. Non sappiamo neanche se, una volta ripreso e completato il romanzo, non avrebbe ritoccato la scena iniziale alla locanda del Cervo Bianco. Come ci dice il nipote, infatti, il lavoro: «non è mai stato sottoposto a quel processo di rifinitura e pulizia a cui lei era abituata prima di considerare finiti i suoi lavori pubblicati»[5].

«Non si sa esattamente perché Jane Austen abbandonò quest’opera, ma potrebbe essere dovuto a una combinazione di circostanze: suo padre morì all’inizio del 1805, e forse trovò che la situazione di Emma riflettesse la propria troppo da vicino; forse si rese conto che la storia stava diventando troppo triste – non c’era molta speranza per quelle ragazze sventurate, una replica più amara di Orgoglio e pregiudizio; o forse fu semplicemente troppo impegnata nel corso degli anni successivi a trasferirsi da Bath a Southampton e poi a Chawton per avere il tempo di concentrarsi sulle composizioni letterarie. Dal momento che le piaceva il nome Emma, è evidente che abbia ritenuto che fosse un peccato abbandonarlo assieme al racconto incompleto, e così lo utilizzò per un’eroina differente dieci anni più tardi»[6].

Quello che ci resta è solo poco più che una scena perfetta di un ballo alle Assembly Rooms di una cittadina del Surrey, e degli affascinanti personaggi con vaghe somiglianze ad altri personaggi austeniani (e a persone reali, come sempre accade con Jane Austen), ma unici, come unico è ognuno nella sua individualità.

 

Note

[1] Virginia Woolf, Jane Austen, in: Il lettore comune, Genova, il melangolo 1995, vol. I, trad. di Daniela Guglielmino pp. 156-157
[2] Da qui in avanti, tutte le citazioni, ove non diversamente specificato, sono tratte da: Jane Austen, I Watson, trad. Giuseppe Ierolli, fonte www.jausten.it/jaothewatsons.html.
[3] Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio, Edizione Speciale del Bicentenario, 2013, trad. it. di Giuseppe Ierolli, p. 17
[4] James Edward Austen-Leigh, A Memoir of Jane Austen (fonte: http://www.jausten.it/jamfjamesedward.html).
[5]Ibidem.
[6] Deirdre Le Faye, Jane Austen: The World of Her Novels, London, Frances Lincoln 2002, p. 227. La traduzione è di chi scrive.

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3 commenti

  1. Ho letto questo articolo poco dopo aver seguito l’incontro online su I Watson, per rimanere ancora un po’ nell’atmosfera della vicenda. Grazie per aver menzionato il completamento del frammento austeniano da parte della nipote Mrs. Hubback; avevo già letto qualcosa in proposito ma non lo ricordavo.
    Di solito sono restia a leggere le continuazioni delle opere incompiute di JA, ad esempio Sanditon, ma The Younger Sister mi intriga di più. Se ho capito bene, hai detto che è ben fatto?
    Grazie! Claudia

    1. Grazie a te! Certo, non è Jane Austen, ma è commovente vedere questo omaggio fatto da una nipote che non la conobbe mai, ma che la ammirò grazie ai ricordi affezionati dell’altra zia, Cassandra.

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