Il reverendo George Austen e la moglie Cassandra ebbero otto figli, ma il secondo, chiamato George come il padre, è praticamente assente dalle cronache familiari. Nella biografia scritta nel 1869 dal nipote James Edward Austen Leigh non se ne trova menzione (nel primo capitolo Edward e Henry sono citati come secondo e terzo figlio della coppia, mentre in realtà erano il terzo e il quarto), e lo stesso accade nell’epistolario di Jane Austen, anche se la perdita di gran parte della sua corrispondenza non può darci la certezza che non ne abbia mai parlato nelle sue lettere.
George Austen nacque il 26 agosto 1766, un anno e mezzo dopo la nascita del primogenito James, nella canonica di Deane, prima che gli Austen si trasferissero in quella di Steventon nell’estate del 1768. I genitori si accorsero quasi subito della presenza di un qualche handicap mentale, del quale non sappiamo nulla di preciso. La madre ne fa menzione in una lettera dell’8 luglio 1770 alla cognata Susanne Walter, moglie del fratellastro del marito, quando George stava quindi per compiere quattro anni:
Ti ringrazio molto per il tuo cortese auspicio circa un miglioramento di George. Dio solo sa quando e se possa essere possibile, ma, per quanto io possa giudicare al momento, non possiamo essere troppo ottimisti su questo argomento; comunque vada, abbiamo comunque una consolazione: non è sicuramente un bambino cattivo o aggressivo.
(In: Austen Papers 1704-1856, edited by R. A. Austen-Leigh, Spottiswoode, Ballantyne & Co., 1942, pag. 23)
Mrs. Austen aveva avuto un’esperienza simile nella famiglia d’origine, visto che anche il fratello Thomas Leigh (1747-1821) era affetto da un handicap e, come si usava allora, era stato affidato a una famiglia che se ne prendesse cura a pagamento. La stessa sorte toccò a George, che fu affidato alla stessa famiglia, i Cullom di Sherborne St. John, un sobborgo della cittadina di Monk Sherborne a circa sette chilometri da Basingstoke, e quindi non lontano da Steventon. George Austen morì a Monk Sherborne il 17 gennaio 1838 (a oltre settant’anni) e fu sepolto nel cimitero della chiesa del luogo, la All Saints Church, in una tomba anonima.
Il suo mantenimento fu pagato prima dai genitori, poi, dopo la morte del reverendo Austen nel 1805, presumibilmente dalla madre o dai fratelli e quindi, alla morte di Mrs. Austen nel 1827, dal fratello Edward, che destinò al mantenimento di George la sua parte di eredità (437 sterline) riguardante i titoli della “Old South Sea Annuities” comprati molti anni prima dalla madre.
In un articolo apparso nel Report del 2004 della Jane Austen Society britannica (Jane Hurst, “Poor George Austen?”, ora in: Jane Austen Society, Report 2001-2005, Winchester, 2008, pagg. 348-351) l’affidamento ai Cullom è stato confermato dal ritrovamento, nella Collezione Knight dell’Hampshire Record Office, di tredici ricevute rilasciate da Charles Cullom a fronte del pagamento trimestrale di quindici sterline “per il mantenimento di Mr George Austen”, nel periodo che va da settembre 1834 a settembre 1837.
L’importo annuo del pagamento (sessanta sterline) è piuttosto considerevole, visto che in quegli anni corrispondeva a circa tre volte il salario medio annuo di un operaio generico. Inoltre, la documentazione comprende anche una ricevuta di dieci scellini e sei pence per l’acquisto di “Un cappello per Mr G. Austen”, dalla quale si evince che i pagamenti trimestrali erano integrati dal rimborso per spese diverse da vitto e alloggio.
Le ricevute sono intestate a William Francis Digweed, affittuario di Steventon Manor, la casa padronale della tenuta di Steventon di proprietà di Edward Austen (che dal 1812 aveva assunto il cognome Knight), che aveva evidentemente incaricato Digweed di provvedere materialmente ai pagamenti per ragioni pratiche, visto che lui risiedeva a Godmersham, nel Kent.
I Cullom sono anche menzionati da Caroline Austen, figlia di James, nelle Reminiscences of Caroline Austen (Jane Austen Society, 1986, pag. 58), che il 15 dicembre 1821, registrando la morte del fratello della nonna, scrive:
Mr. Thomas Leigh sepolto a Monk Sherborne. Era il fratello ritardato di mia nonna e di Mr. Leigh Perrot. Era stato sistemato a Monk Sherborne anni fa, affidato ai Culham (sic) di quella parrocchia.
Non sappiamo quando George fu allontanato dalla famiglia, e quindi non siamo in grado di accertare se Jane Austen, nata quando il fratello aveva poco più di nove anni, abbia vissuto per un periodo sotto lo stesso tetto, anche se si può ipotizzare che, comunque, non possa essersi trattato di un periodo molto lungo.
Una labile traccia di questa possibile convivenza (ma anche di rapporti successivi, dei quali, però, non abbiamo alcuna evidenza) è in un breve accenno in una lettera a Cassandra del 27 dicembre 1808, nella quale, parlando di un certo Mr. Fitzhugh, JA scrive:
Vive in quella Casa da più di vent’anni, e, pover’uomo, è così completamente sordo, che dicono non sentirebbe nemmeno un Cannone, anche se sparasse accanto a lui; non avendo un cannone a portata di mano per fare l’esperimento, l’ho dato per certo, e ho parlato un po’ con lui con le dita, il che è stato abbastanza buffo.
L’accenno al “parlare con le dita” (“I talked to him a little with my fingers”), e non, genericamente, a gesti, può far supporre che JA conoscesse il linguaggio dei sordomuti, che questa, insieme a un probabile handicap mentale, fosse la situazione del fratello, e che in qualche modo JA avesse imparato quel linguaggio per comunicare con George.
A parte questa ricostruzione, che presenta molte lacune anche sull’effettiva situazione fisica e mentale di George Austen, molti si sono chiesti il perché di questa “cancellazione”, da parte, peraltro, di una famiglia molto attenta alla religione cristiana, visto che il reverendo Austen era un pastore anglicano.
È probabile che questa domanda se la siano fatta più i lettori moderni, che vivono in una società in cui la tutela e il modo di considerare le persone affette da un qualche handicap ha giustamente fatto molti passi avanti rispetto al passato.
Negli anni di JA, e per molti anni dopo il suo tempo, l’allontanamento dalla famiglia era probabilmente considerato il modo normale di comportarsi in questi casi, e si presume che spesso fosse più che un allontanamento una vera e propria sparizione, con l’abbandono a strutture pubbliche di dubbia gestione. Nel caso di George Austen, analogamente a quello del fratello di Mrs. Austen, c’è da considerare che la famiglia se ne occupò fino alla sua morte, dimostrando un interesse concreto che, anche se solo finanziario, non era probabilmente molto comune all’epoca.
Inoltre, la mancanza di documentazione su eventuali visite dei familiari a George non può certo fornire certezze in questo senso, anche se la cosa più probabile è che all’epoca la presenza di un handicap mentale fosse considerata come una circostanza che poteva far ritenere normale un abbandono “affettivo”, anche da parte di una famiglia altrimenti molto unita come quella degli Austen.
Un’ultima considerazione può essere fatta in relazione a un terzo caso del genere nella famiglia. La nipote del reverendo Austen, Eliza Hancock, figlia della sorella Philadelphia, si sposò nel 1781 con un francese, Jean Capote de Feuillide, ed ebbe un figlio, Hastings, nato nel 1786, che aveva problemi analoghi a quelli di George Austen e morì a quindici anni nel 1801. Eliza tenne sempre il figlio con sé, anche dopo essere rimasta vedova nel 1794 (il marito fu ghigliottinato in Francia durante il periodo della rivoluzione) e dopo essersi risposata nel 1797 con il cugino Henry Austen, fratello di JA.
In questo caso non ci fu nessun allontanamento, ma c’è da tenere presente che la situazione presentava aspetti diversi. Hastings era infatti figlio unico, e la decisione della madre di non conformarsi a quanto fatto in famiglia nei casi precedenti può essere stata determinata proprio da questa circostanza, che avrebbe reso particolarmente doloroso un distacco che invece, nella numerosa famiglia dello zio, era stato evidentemente ritenuto meno coinvolgente da un punto di vista emotivo.
Ma qui, ovviamente, entriamo in un campo che coinvolge sentimenti personali difficili da precisare e da giudicare, in particolare dopo più di due secoli e senza una documentazione che ci permetta di averne una percezione almeno approssimativa.
Dal 2009 al 2013 ha tradotto tutte le opere e le lettere di Jane Austen, raccolte nel sito jausten.it. Ha scritto due biografie di Jane Austen: Jane Austen si racconta (Utelibri, 2012) e In Inghilterra con Jane Austen (Giulio Perrone Editore, 2022). Nel 2015 ha curato e tradotto Lady Susan e le altre (Elliot), una raccolta di romanzi e racconti epistolari di Jane Austen. Nel 2017, in occasione del bicentenario della morte di Jane Austen, ha curato tre volumi editi da Elliot: Juvenilia, Ricordo di Jane Austen e altre memorie familiari (di James Edward Austen Leigh) e I Janeites (di Rudyard Kipling), oltre a un’antologia delle lettere pubblicata da “La biblioteca di Repubblica-L’Espresso”, comprendente anche l’incompiuto Sanditon.
9 commenti
Ho trovato l’argomento di questo approfondimento molto interessante! pur non avendo alcun dato o informazione certa siete riusciti a fornire un quadrò generale di grande aiuto. Mi sono sempre posta le domande e le questioni che avete affrontato in questo articolo!
L’argomento ha in effetti suscitato molti dubbi e giudizi più o meno negativi. In una delle biografie più note di JA, quella di David Nokes, l’autore dà un giudizio molto negativo sul comportamento della famiglia Austen, ma, secondo me, è necessario considerare le abitudini sociali dell’epoca e non giudicare secondo i parametri attuali. Nokes, tra l’altro, afferma che il contributo finanziario per il mantenimento di George Austen era esiguo, mentre la somma annuale che risulta dalle ricevute citate nell’articolo, anche senza contare gli “extra”, a me pare più che sufficiente ad assicurare una vita dignitosa, anche in questo caso, ovviamente, considerando i parametri economici dell’epoca.
anche io credo che gli Austen abbiano seguito le convenzioni e si siano comportati come solitamente si faceva a quel tempo. Probabilmente si pensava che una famiglia diversa dalla propria potesse prendersi meglio cura del disabile e assicurargli le attenzioni di cui necessitava grazie all’esperienza degli affidatari. Credo anche che si pensasse che queste povere anime non soffrissero del distacco!!!!!!!!!
Nell’aspetto del sostentamento monetario mi sembra che gli Austen abbiano dato più che a sufficienza considerate anche le loro effettive condizioni economiche.
Ciò che mi sconcerta un pò è l’oblio che ha circondato il povero George. Non posso credere che sia per vergogna, penso invce che la sua famiglia andasse a trovarlo e fosse in costante contatto, solo che non ne parlavano con gli altri o nelle lettere (almeno quelle resistite al rogo di Cassy).
Davvero incredibile questa notizia, non ho ancora finito di leggere le lettere di JA, ma fino ad ora non ne avevo neppure sentito un minimo accenno.
Vista con gli occhi di oggi sembrerebbe sicuramente una cosa sconvolgente, ma all’epoca sicuramente c’era una certa ignoranza a riguardo e, nonostante la forte appartenenza religiosa (che comunque in quel periodo era differente, nel senso che, seppur molto “bigotti” e “perfettini” i personaggi di spicco nel clero riportavano sempre delle contraddizioni tra quello che predicavano e quello che facevano nella vita di tutti i giorni; basti pensare all’esempio portato da JA in Emma con Mr Elton o comunque quasi tutte le altre figure religiose da lei descritte) si tendeva ad agire in modi sbagliati.
Certo, bisogna esser certi al 100% della reale esistenza di questo fratello, anche se già queste ricevute mi sembrano abbastanza attendibili. La cosa che forse un po’ (ma neanche più di tanto) stupisce è il fatto che, nel bene o nel male, JA non ne abbia mai parlato, accenno a parte.
Un articolo veramente interessante!
Non stupisce il fatto che, all’epoca, fossero usuali questi comportamenti:
Le convenzioni sociali erano diverse, così come le abitudini. A tal proposito rammento alcune battute sarcastiche di Jane Austen sulla morte che effettivamente ai giorni nostri colpiscono, ma che all’epoca potevano essere considerate con una certa indulgenza, dato l’alto tasso di mortalità e le prospettive di vita alquanto più ridotte di quelle odierne.
Molto interessante eppure sconociuto questo argomento. Mi piacerebbe condividere sul’ mio sito di Facebook, con tutti i crediti, ovviamente. C’è qualcun problema? Ancora stò traducendo il testo, aspetto il suo permesso.
Grazie mille per questa informazione così interessante.
Buongiorno Maria,
puoi certamente condividere l’articolo sulla tua pagina Facebook e grazie per l’interesse.
Purtroppo abito molto lontano e non potro partecipare agli incontri, ma sono felice di sapere che ci sono tanti appassionati delle opere, della vita e del mondo di questa grande autrice. Io la adoro fin da quando ho letto , a sedici anni, Emma. Rileggo sempre i suoi libri….piu volte…anche solo alcune pagine perche riescono a consolarmi e rilassarmi e mi fanno entrare in un microcosmo di ordine e bellezza……perche Lei e cosi……anche le vicende negative si muovono attraverso ingranaggi precisi…come se seguissero le immutabili leggi del cosmo. Serenita e bellezza della natura…razionalita non fredda ma consapevole dei limiti dell essere umano, sguardo lucido e irriverente sulle debolezze degli uomini……citando un famoso commento alla sua opera……^I romanzi di austen ci trattengono in una immobile primavera.^………complimenti per l iniziativa che seguiro on line……