Due storie di mare

Forse perché la luminosa prospettiva di servire nella Marina e di condurre una vita avventurosa era un’ambizione per molti uomini che vivevano in città come Portsmouth o Plymouth – sta di fatto che i meridionali si rassegnavano più docilmente all’oppressione della coscrizione obbligatoria di quanto facessero le popolazioni del Nord-Est (1).

copertina SylviaLa romanziera vittoriana Elizabeth Gaskell aveva molto a cuore le differenze antropologiche e sociologiche tra il Nord e il Sud del suo Paese. Se il suo Nord e Sud (1855) dà a questo contrasto un ruolo addirittura eponimo, anche la Vita di Charlotte Brontë (1857) e Gli innamorati di Sylvia (1863) dimostrano una grande attenzione per l’aspetto storicista di una narrazione – ovvero la presentazione di un racconto e dei suoi personaggi come il necessario risultato delle influenze esercitate su di loro dal luogo e dal momento storico. Il passo citato all’inizio fa riferimento alla leva militare obbligatoria istituita nel corso delle guerre napoleoniche per ovviare alla scarsità di uomini nelle fila della Marina britannica: Gaskell fa di questo episodio storico il perno delle vicende narrate in Gli innamorati di Sylvia, e la diversità di reazione che viene individuata fra i cittadini settentrionali e quelli meridionali mi ha fatto tornare in mente due storie di mare, per certi versi simili eppure fondamentalmente differenti, narrate dai due marinai che sono i protagonisti, rispettivamente, di questo romanzo storico di Elizabeth Gaskell e di Persuasione di Jane Austen: Charley Kinraid e Frederick Wentworth.

Naturalmente Austen non racconta l’arruolamento forzato, ma il periodo che il Capitano Wentworth trascorre in mare prima dell’inizio della vicenda – gli anni tra il 1806 e il 1814 (2) – coincide proprio con quello dell’istituzione dell’impressment, il reclutamento forzoso. Chissà, forse anche sulle navi che lui comandava erano impiegati uomini sottratti a forza dalle loro famiglie e dal loro lavoro per servire la Corona….

Se ritenuti fisicamente idonei, i contadini potevano in breve tempo essere trasformati in bravi marinai; e una volta prigionieri della nave d’appoggio, il cui compito era ricevere i frutti delle scorrerie delle bande di coscrizione, per questi uomini era difficile spiegare e dimostrare quale fosse il loro precedente mestiere, specialmente perché nessuno aveva tempo e voglia di starli ad ascoltare, o di credere a quel che dicevano, oppure, se anche li avessero ascoltati e creduti, nessuno avrebbe mai fatto nulla per restituire loro la libertà. Gli uomini venivano rapiti, e sparivano, letteralmente: di loro non si sarebbe saputo più nulla (3).

Ma torniamo alle nostre storie di mare. La prima è quella con cui il Capitano Wentworth intrattiene i suoi amici nel capitolo 8 di Persuasione: «“Per me, a quel tempo, lo scopo prioritario era imbarcarmi, uno scopo assolutamente prioritario. Avevo bisogno di fare qualcosa”» comincia il capitano. E prosegue, parlando della sua nave, la Asp:

«Ah! per me era la vecchia cara Asp. Faceva tutto quello che volevo. Sapevo che sarebbe stato così. Sapevo che o saremmo andati a fondo insieme, o che lei mi avrebbe cambiato la vita; e non ebbi neppure due giorni di brutto tempo mentre mi trovavo in mare con lei; e dopo aver catturato abbastanza navi corsare da poterne raccontare a lungo, ebbi la fortuna, nel tornare verso casa l’autunno successivo, di imbattermi proprio nella fregata francese che volevo. La portai a Plymouth, e lì un altro colpo di fortuna. Non eravamo neancheda sei ore nel Sound, quando sopraggiunse una burrasca che durò quattro giorni e quattro notti, e che avrebbe avuto la meglio sulla vecchia Asp in metà del tempo […]. Ventiquattr’ore ancora e io sarei stato soltanto un valoroso Capitano Wentworth, in un trafiletto relegato in un angolo sui giornali; ed essendo affondato solo in uno sloop, nessuno avrebbe speso un pensiero per me» (4).

J.M.W. Turner, Il naufragio della Minotauro. Olio su tela (1793)
J.M.W. Turner, Il naufragio della Minotauro. Olio su tela (1793)

Il tono diffuso in questo racconto del Capitano Wentworth è quello di una grande fiducia in se stesso e nella Marina militare: si percepiscono il senso del successo, la consapevolezza della buona sorte e la soddisfazione della fama raggiunta – perché il riferimento al «trafiletto relegato in un angolo sui giornali» è contenuto in una frase che è un’ipotetica dell’impossibilità, e che evoca dunque il contrasto con la felice realtà dei fatti.

Viceversa, nelle storie narrate da Charley Kinraid, attore maschile della storia d’amore in Gli innamorati di Sylvia, noi lettori veniamo trasportati in un turbine di paura, di suspense e di rischio:

«Una volta mi trovavo sulla nave John di Hull, eravamo su belle acque verdi e andavamo a caccia di balene; e non avevamo nessuna paura di un enorme iceberg grigio che avevamo sottovento, a una distanza di circa un miglio. Era come se si trovasse lì dai tempi di Adamo, e che avrebbe visto la fine dell’ultimo uomo, e che non si fosse né ingrandito né rimpicciolito in migliaia di anni. Bene, le scialuppe erano fuori, all’inseguimento di un pesce, e io ero ramponiere su una di quelle; ed eravamo talmente presi dalla caccia che nessuno di noi si accorse che stavamo navigando giusto dentro l’ombra profonda di quell’iceberg» (5).

Frederic Edwin Church, Gli iceberg (1861)
Frederic Edwin Church, Gli iceberg (1861)

Neanche il lieto fine del racconto di Charley risulta risolutivo, perché il turbamento che ha provocato lascia un’eco agghiacciante nei nostri ricordi:

«Le acque dondolavano, e il cielo era immobile sopra di noi; il ghiaccio sorgeva dall’acqua e sembrava toccare il cielo. Navigammo e navigammo per tanti di quei giorni che non riuscirei a contarli. […] Molti di noi pensarono che la nave fosse maledetta […]; e iniziammo a parlare a bassa voce e a dire le preghiere della sera, cosicché l’aria si riempì di un insolito silenzio; le nostre voci non sembravano neanche le nostre. E navigammo, e navigammo. […] Arrivammo allora a un grande crepaccio, in mezzo a quella montagna di ghiaccio terribilmente lunga; i fianchi del corridoio non erano frastagliati, ma entravano dritti dritti dentro l’acqua schiumante. Demmo solo un’occhiata all’interno, perché il capitano, raccomandandosi urlando a Dio, ordinò al timoniere di virare a nord e di portarci via da quella bocca dell’inferno. Tutti noi vedemmo con i nostri occhi che dentro a quello spaventoso muro di ghiaccio – lungo settanta miglia, potevamo giurarci – dentro a quel ghiaccio freddo e grigio si alzavano dall’acqua del mare delle lingue di fuoco, tutte rosse e gialle, un fuoco ultraterreno che ci accecò con il suo chiarore scarlatto e che puntava in alto, anzi più in alto del ghiaccio, eppure non lo scioglieva. Dicono che qualcuno che stava vicino al capitano vide i diavoli fiammeggiare di qua e di là, più veloci delle fiamme stesse; a ogni modo, lui li vide» (6).

Sebbene i due marinai intrattengano i loro ascoltatori con contenuti simili – si tratta in entrambi i casi di disavventure occorse in mare – i loro racconti sono diversi soprattutto in virtù del loro ritmo. Il Capitano Wentworth è spiccio, pragmatico, elenca gli avvenimenti con precisione («quattro giorni», «quattro notti», «ventiquattr’ore») senza aggiungere troppi commenti e conclude nettamente, senza lasciare possibilità di replica. Charley Kinraid, al contrario, indugia nella narrazione, sa stuzzicare l’apprensione dell’ascoltatore, sbriglia l’aggettivazione e non ha paura di virare nel soprannaturale.

Di certo la differenza tra queste due storie è data in primo luogo dallo stato sociale dei due narratori: Wentworth è un soldato, Charley un cacciatore di balene (e si sa come le raccontano bene i pescatori…). Ma esattamente come sosteneva Gaskell, in questi due brani si nota anche la diversità tra il Nord e il Sud. È facile immaginare che al Sud la popolazione godesse di un clima più placido e favorevole e di campagne più accoglienti, che consentivano di stare più all’aperto e di produrre storie fatte di sole, di fiori e di ottimismo. Al Nord, invece, le temperature rigide e le burrasche rendevano preferibile chiudersi in casa e riunirsi davanti al camino, al riparo dalle pericolose ombre della sera: ecco dunque che nel novellare di un marinaio settentrionale c’è spazio per l’orrido, per le maledizioni e per un senso incombente di morte.

 


NOTE
1) Elizabeth Gaskell, Gli innamorati di Sylvia, trad. it. di Mara Barbuni, Jo March 2014, p. 48.
2) La cronologia di Persuasione è ben evidenziata su http://www.jausten.it/jarcpcronologia.html.
3) Gli innamorati di Sylvia, cit., p. 46.
4) Jane Austen, Persuasion, “Collector’s Library”, CRW Publishing Limited 2004, pp. 80-81. La traduzione è di chi scrive.
5) Gli innamorati di Sylvia, cit., p. 148.
6) Ivi, pp. 150-151.

 

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