Dopo la parola fine: l’eredità di Jane Austen nei sequel

L’articolo originale è apparso sulla rivista di Jane Austen Society of Italy “Due pollici d’avorio”, numero 8 (giugno 2017), pagg. 46-54. Per richiedere l’intero numero, scrivere a info@jasit.it.

«Che altre penne si soffermino su colpe e miserie. Io abbandono questi odiosi argomenti non appena posso, impaziente di riportare tutti quelli non troppo colpevoli a un tollerabile grado di benessere, e di farla finita con tutto il resto»[1].

Quando Jane Austen aprì l’ultimo capitolo di Mansfield Park con questa dichiarazione, intendeva dire di non avere alcuna intenzione di continuare a parlare di eventi che non fossero lieti; di sicuro le altre penne si sarebbero dovute soffermare su colpe e miserie in altri romanzi, non certo nei suoi. Non sapeva di aver dato in questo modo quasi un’autorizzazione a immaginare – e arrivare persino a scrivere – un prosieguo alle sue storie.

Perché è un dato di fatto che chiunque la ammiri, senta di avere un legame stretto con i suoi personaggi. Come dice il critico letterario Bill Deresiewicz,

«Jane Austen ha un’insuperabile capacità di farci sentire di conoscere i suoi personaggi proprio come conosciamo le persone che fanno parte della nostra vita. Sono nostri amici; non c’è da meravigliarsi, dunque, se vogliamo continuare a spettegolare su di loro»[2].

I finali dei romanzi di Jane Austen, inoltre, sono di solito molto bruschi, e non ci fanno vedere cosa accade dopo il “lieto fine”, soprattutto ai personaggi secondari, sia positivi che negativi, a cui i lettori si affezionano esattamente come ai protagonisti.

Come dice Giuseppe Ierolli nella sua introduzione a Vecchi amici e nuovi amori di Sybil G. Brinton,

«Questi finali ex abrupto sono spesso fonte di parziale delusione per i lettori che, conquistati dai personaggi e dall’intreccio, non vorrebbero mai veder finito il libro. Se a questo uniamo i molti interrogativi che restano irrisolti, per esempio: come andrà il matrimonio tra Lucy Steele e Robert Ferrars (Ragione e sentimento)?, che ne sarà di Mary e Kitty, le due figlie che Mrs. Bennet non è ancora riuscita a sistemare (Orgoglio e pregiudizio)?, che fine farà Isabella Thorpe (L’abbazia di Northanger)?, Mary Crawford si sposerà, e se sì, con chi (Mansfield Park)?, Elizabeth Elliot resterà zitella? e la coppia Mr. Elliot/Mrs. Clay (Persuasione)?, quanto tempo Mr. Knightley ed Emma dovranno restare ad abitare con Mr. Woodhouse (Emma)?, cominciamo a intravedere qualche ragione che giustifichi la voglia di saperne di più»[3].

E, d’altronde, la stessa Jane Austen immaginava che i suoi personaggi continuassero a vivere, come possiamo evincere dalla lettera che spedì a Cassandra in occasione della mostra di acquerelli a Spring Garden il 24 maggio 1813.

Portrait of a Lady o Ritratto di Mrs. Q (J.F.M. Huet- Villiers)

«Henry e io siamo andati alla Mostra a Spring Gardens. Non è considerata un gran che come raccolta, ma a me è piaciuta moltissimo – in particolare (ti prego di dirlo a Fanny) un piccolo ritratto di Mrs Bingley, estremamente somigliante. C’ero andata nella speranza di vederne uno della Sorella, ma non c’era nessuna Mrs Darcy; – tuttavia, forse potrò trovarla alla Grande Mostra dove andremo, se avremo tempo; – non ho nessuna possibilità di trovarla nella collezione di Dipinti di Sir Joshua Reynolds che è in mostra a Pall Mall, che pure andremo a visitare. Mrs Bingley è proprio lei, taglia, viso, aspetto e dolcezza; non c’è mai stata una somiglianza più grande. È vestita di bianco, con ornamenti verdi, che mi hanno convinta di ciò che avevo sempre immaginato, ovvero che il verde era il suo colore preferito. Credo che Mrs D. sarà in Giallo. […] Siamo stati sia alla Mostra che da Sir J. Reynolds, – e sono rimasta delusa, perché in tutte e due non c’era nulla che somigliasse a Mrs D. – Posso solo immaginare che Mr D. valuti troppo qualsiasi Ritratto di lei perché gli faccia piacere vederlo esposto in pubblico»[4].

E, se sollecitata da parenti e amici, raccontava cosa sarebbe accaduto ai personaggi dei suoi romanzi dopo la parola fine, come dice il nipote James Edward Austen-Leigh nella biografia della zia.

«Raccontava volentieri, se interpellata, molti piccoli particolari circa gli sviluppi successivi di qualcuno dei suoi personaggi. In questo modo familiare apprendemmo che Miss Steele non ebbe mai successo nell’accalappiare il dottore; che Kitty Bennet aveva fatto un matrimonio soddisfacente con un ecclesiastico vicino a Pemberley, mentre Mary non aveva ottenuto nulla di più di uno degli impiegati dello zio Philip, e si era accontentata di essere considerata una protagonista della vita sociale di Meryton; che la “considerevole somma” data da Mrs. Norris a William Price era stata di una sterlina; che Mr. Woodhouse era sopravvissuto al matrimonio della figlia, e aveva impedito a lei e Mr. Knightley di stabilirsi a Donwell per circa due anni; e che le lettere messe da Frank Churchill di fronte a Jane Fairfax, che lei aveva spazzato via senza leggerle, contenevano la parola “perdono”. Della buona gente de “L’abbazia di Northanger” e di “Persuasione” non sappiamo nulla di più di quello che è scritto, poiché prima che quelle opere fossero pubblicate l’autrice ci era stata portata via, e tutte quelle divertenti comunicazioni erano cessate per sempre»[5].

Dunque, già quando Jane Austen era in vita si sentiva l’esigenza di sapere qualcosa di più, di conoscere il seguito delle sue storie; cosicché alla sua morte, alcuni nipoti cercarono di portare a termine le sue opere incompiute.

Anna Lefroy (la figlia primogenita di James), a cui zia Jane aveva offerto in vita numerosi consigli di scrittura:

«Ora stai radunando i tuoi Personaggi in modo delizioso, mettendoli esattamente in un posto che è la delizia della mia vita; – 3 o 4 Famiglie in un Villaggio di Campagna è la cosa migliore per lavorarci su – e spero che scriverai ancora moltissimo, e li sfrutterai pienamente ora che sono sistemati in modo così favorevole.»[6],

tentò di completare Sanditon, ma lo lasciò a sua volta incompiuto.

Ma la prima a pubblicare effettivamente il seguito di un romanzo di Jane Austen fu la figlia di Frank, Catherine Anne Hubback, che nel 1850 diede alle stampe The Younger Sisterdedicato Alla memoria di sua zia, la defunta Miss Austen – che riprendeva e completava The Watsons, il romanzo incompiuto abbandonato da Jane Austen nel 1804, il cui manoscritto era stato lasciato in eredità a Cassandra, e da lei a Caroline Austen, la figlia minore di James. In realtà, nessuno al di fuori della famiglia sapeva che The Younger Sister raccontava e portava a termine la storia cominciata da Jane Austen, che non era ancora stata pubblicata (venne fatto solo nella seconda edizione della sua biografia di James Edward Austen-Leigh: A Memoir of Jane Austen, nel 1871).

Catherine Anne Hubback non aveva neanche conosciuto zia Jane, essendo nata nel 1818, ma aveva frequentato assiduamente il cottage di Chawton, in cui andava a trovare zia Cassandra, che probabilmente la incoraggiava a scrivere; e sicuramente aveva potuto leggere più e più volte i manoscritti di zia Jane, imparandoli quasi a memoria. Così, quando si trovò in una situazione familiare ed economica molto difficile, ricorse all’unica risorsa che aveva a disposizione per mantenere se stessa e i suoi tre figli: la scrittura.

Dopo The Younger Sister, che lasciò i cugini Austen, i figli di James, piuttosto interdetti, Hubback proseguì la carriera letteraria, scrivendo altri sette romanzi, del tutto originali, stavolta.

Ma nessuno dei nipoti aveva mai pensato di scrivere il seguito di uno dei sei romanzi canonici, come fece invece Sybil G. Brinton nel 1913, esattamente cento anni dopo la pubblicazione di Pride and Prejudice, con Old Friends and New Fancies, in cui compaiono personaggi da tutti e sei i romanzi (crossover), con un particolare interesse per Georgiana Darcy e il colonnello Fitzwilliam da Orgoglio e pregiudizio e Mary Crawford e William Price da Mansfield Park.

Il romanzo di Brinton non ebbe grande fortuna e cadde a lungo nel dimenticatoio, fino a quando, con l’avvento delle centinaia di derivati nati dalle trasposizioni cinematografiche e televisive austeniane della seconda metà degli anni ‘90, non ci si ricordò del primo sequel di Pride and Prejudice (e non solo) della storia, che venne così rispolverato e ripubblicato.

Brinton aveva capito molto saggiamente che per scrivere un sequel che soddisfacesse gli estimatori di Jane Austen occorreva spostare il centro dell’attenzione dai protagonisti del romanzo austeniano, focalizzandola su alcuni personaggi secondari, creando così uno spin-off, cioè una storia nata dalla costola del romanzo principale, piuttosto che un sequel vero e proprio.

È meglio infatti che il lettore pensi che la felicità di Darcy ed Elizabeth o di Anne e Wentworth sia inalterata e inalterabile, tutt’al più turbata da piccole faccende quotidiane che non vale la pena di prendere in considerazione tanto da scriverci un libro. Anche perché, lasciandoli ai margini come personaggi secondari, è più facile che restino fedeli agli originali che non rendendoli ancora una volta protagonisti.

Così i due sequel di Monica Fairview, The Other Mr. Darcy (2009) e The Darcy Cousins (2010), che si occupano rispettivamente di Caroline Bingley (e di un improbabile ma affascinante cugino americano di Darcy, Robert) e di Georgiana Darcy (con l’aggiunta delle due cugine Anne de Bourgh e Clarissa Darcy, sorella di Robert del romanzo precedente), ci fanno vedere Darcy ed Elizabeth un po’ sullo sfondo, ma sono godibilissimi; al contrario di altri in cui sembra non accadere nulla, e che ci costringono a entrare nella loro camera da letto (come Jane Austen non ci avrebbe mai permesso di fare), o in cui vengono inventate terribili vicissitudini che mettono a repentaglio il rapporto della coppia che nessun janeite vorrebbe vedere intaccata, come nel caso di Mr. Darcy Takes a Wife di Linda Berdoll (1999), che pure negli USA ha avuto un incredibile successo di pubblico, malgrado il cattivo gusto e la completa infedeltà ai personaggi austeniani.

Non che fino agli anni ‘90 non ci fossero stati altri tentativi di scrivere dei sequel austeniani. Nel 1929, la pro-pro nipote di Jane Austen, Mrs. Francis Brown (discendente proprio di Catherine Anne Hubback), scrisse Margaret Dashwood, or Interference (sequel di Ragione e sentimento), seguito a ruota nel 1930 da Susan Price, or Resolution (sequel di Mansfield Park), mentre nel 1949 D.A. Bonavia Hunt scrisse il primo sequel di Orgoglio e pregiudizio dopo Old Friends and New Fancies, Pemberley Shades, che aprì un filone molto interessante nei sequel austeniani, quelli a sfondo giallo. Perché l’unica alternativa valida allo spin-off è proprio quella di mettere sulla strada di Darcy ed Elizabeth un bel delitto da risolvere.

Chi ha seguito questa stessa via con grande successo è stata Carrie Bebris che nel 2004, cinquantacinque anni dopo Bonavia-Hunt, ha trasformato Darcy ed Elizabeth in un’affiatata coppia di investigatori, che via via incontrano i protagonisti degli altri romanzi austeniani, in una serie di grande successo.

«Rilessi Orgoglio e pregiudizio, e quando arrivai alla crisi della fuga di Lydia, fui colpita da come Elizabeth – descritta in precedenza nel romanzo come “osservatrice di caratteri” da Mr. Bingley – avesse predetto la rovina di Lydia e avesse avvertito il padre dell’imprudenza di permetterle di andare a Brighton; mentre Darcy, da uomo di mondo con conoscenze e risorse, fosse stato in grado di muoversi per Londra seguendo gli indizi in proprio possesso fino a quando non era riuscito a individuare la coppia di fuggitivi e non aveva messo in riga Wickham. Pensai che se le loro forze e i loro talenti si erano completati a vicenda così bene prima della loro unione sentimentale, figuriamoci dove sarebbero potuti arrivare dopo»[7].

Dopo i primi due romanzi in cui, oltre agli elementi gialli, Bebris inserisce anche un tocco di paranormale (con alcuni riferimenti al personaggio di Sir Francis Dashwood, noto satanista del Settecento, nel secondo romanzo della serie, Sospetto e sentimento), Darcy ed Elizabeth indagano in modo più tradizionale, e incontrano gli altri protagonisti austeniani, stringendo dei rapporti particolarmente amichevoli sia con Mr. e Mrs. Knightley che col capitano e Anne Wentworth, fino ad arrivare a Sanditon con il settimo e, per ora, ultimo episodio della serie, l’unico che non è stato tradotto in italiano, The Suspicion at Sanditon, che, tuttavia, ci fa vedere ben poco della cittadina balneare che dà il nome al romanzo, dal momento che si svolge quasi interamente all’interno di Denham Park, la casa di Lady Denham, la patronessa della piccola località balneare, con atmosfere che richiamano i romanzi gotici e L’abbazia di Northanger. In questo romanzo si sente più che in altri la forte presenza di due distinte protagoniste, Elizabeth e Charlotte Heywood, che talvolta tendono a confondersi, forse perché, non avendo avuto Jane Austen l’opportunità di sviluppare fino in fondo la seconda eroina, è stato difficile per Bebris attribuirle un carattere definito e diverso da quello di Elizabeth. Se poi a loro due si aggiunge l’altra giovane figura positiva di Clara Brereton, è scontato che il lettore rimanga un po’ spiazzato.

Anche altri autori si sono cimentati con dei sequel gialli, come per esempio Regina Jeffers, con l’interessante The Phantom of Pemberley; ma, ovviamente, l’omaggio più rilevante è quello di una delle regine del genere, Dame P.D. James, che nel 2012, dopo due anni di studi approfonditi scrisse Morte a Pemberley. La giallista dichiarò di aver dovuto lavorare duramente per le ricerche da sostenere e i dettagli da verificare, e la sua opera è chiaramente una prova del suo grande amore per Jane Austen, dal momento che lascia quasi intatto il mondo reso da lei immortale duecento anni prima, con l’aggiunta solo di pochi personaggi, forse proprio a scapito del fattore giallo.

Chi pure ha sfruttato l’idea di scrivere dei gialli legati a Jane Austen è stata Stephanie Barron, che però ha preferito scegliere come investigatrice proprio la scrittrice, con una serie di romanzi narrati in prima persona da Jane Austen nei suoi “diari” – scomparsi e poi ritrovati in un baule nel seminterrato di un’antica tenuta americana, appartenente a un ramo di lontani parenti della scrittrice – di cui Barron finge di essere soltanto la curatrice. Con uno stile che tende a ricalcare quello di Jane Austen, Barron – già analista di intelligence per la CIA – ripercorre la vita di Jane Austen basandosi sulle sue lettere e su tutte le possibili fonti giunte fino a noi, costellandola di delitti spesso a sfondo storico e spionistico, che ci consentono così di approfondire con accuratezza non soltanto la vita della scrittrice – delitti fittizi a parte – ma anche il travagliato periodo storico in cui visse e che lei preferì lasciare fuori dai suoi romanzi per mantenerli sempre contemporanei.

Così Barron spiega la sua scelta:

«Avevo studiato la Francia napoleonica durante il periodo universitario a Princeton; così di conseguenza intrapresi gli studi che ne erano un naturale completamento: l’Inghilterra Regency. Conoscevo i libri di Jane Austen, i suoi personaggi; ma molto poco della sua vita. Mi rivolsi così alla fonte primaria – la sua raccolta di corrispondenza – e alle eccellenti fonti secondarie sulla sua vita che riempivano gli scaffali di molte biblioteche nel mondo. Nelle lettere, comunque, scoprii il miglior personaggio tra tutti: la stessa Jane Austen. Quando Jane Austen scriveva a una persona intima – di solito a sua sorella Cassandra – era una Jane priva di costrizioni: caustica, divertente, critica, sprezzante. Padroneggiava e dominava tutti coloro che la conoscevano, assoggettandoli al suo intelletto, e traeva diletto dai tempi passati. Era una Jane eccezionalmente dotata a indagare su degli omicidi, una Jane che comprendeva il potere di una motivazione e l’essenza del cuore umano. Era affascinata dall’assurdo, smontava il ridicolo e non si faceva scrupoli davanti a nessun uomo. Era un’eroina irresistibile. […] Scrissi Jane e la disgrazia di Lady Scargrave molto prima che i film sulle opere di Jane Austen – Persuasione, Ragione e sentimento, Orgoglio e pregiudizio, Emma o Mansfield Park – apparissero sullo schermo. Ma la pubblicazione del libro nella primavera del 1996, sembrò perfettamente calcolata per sfruttare al meglio la riscoperta della narrativa austeniana. Per questa apparente preveggenza e per le mire pecuniarie sono stata a volte punita, e altre ignorata»[8].

Prima di P. D. James, altre scrittrici già affermate si erano cimentate con dei sequel di romanzi austeniani. È il caso dell’australiana Colleen McCullough – autrice di Uccelli di rovo ma, soprattutto, della fortunatissima serie storica I signori di Roma – che, nel 2008, pubblicò L’indipendenza della signorina Bennet, cercando di riscattare il personaggio di Mary, la più bruttina e intellettualoide delle cinque sorelle. Ambientato diciassette anni dopo le vicende di Orgoglio e pregiudizio, il romanzo ci fa vedere una Mary emancipata, con numerose idee riformiste, e poco disposta a vivere – dopo essersi occupata a lungo della madre, essendo l’unica figlia nubile – da servile dipendente del dispotico cognato Darcy. I matrimoni tra Jane e Bingley e tra Darcy ed Elizabeth sembrano aver avuto una pessima riuscita, come se McCullough avesse voluto trasformare il lieto fine in un autentico incubo, con una pesante satira del romanzo rosa che molti considerano proprio di ispirazione austeniana. Pare quasi aver interpretato alla lettera la dichiarazione di Elizabeth sul suo amore per Darcy: «È successo così gradualmente, che non saprei quando è cominciato. Ma credo di poter dire che è stato quando ho visto per la prima volta la sua bellissima proprietà a Pemberley.»[9], dando così al matrimonio un valore mercenario.

Impossibile per gli estimatori di Jane Austen riuscire a leggere il romanzo senza restarne indignati. Come dice Diana Birchall nella sua recensione del libro per la Jane Austen Society of North America:

«Leggere il romanzo non come sequel o omaggio a Orgoglio e pregiudizio, ma come una storia che prende i nomi e le vite dei personaggi austeniani solo come punto di partenza per inventare un romanzo sul diciannovesimo secolo, potrebbe aiutarvi a prevenire un caso di Janeitis Irritabilis»[10].

Negli anni ‘90, un’altra scrittrice famosa, pluripremiata e insignita dell’MBE per i suoi servigi alla letteratura per ragazzi, Joan Aiken, scrisse sei sequel, o romanzi comunque ispirati a Jane Austen.

Eliza’s Daughter, sequel di Ragione e sentimento è un eccellente romanzo storico, che nulla ha però a che spartire con il romanzo di cui è seguito, essendo privo di ogni ironia e tradendo, anche in questo caso, il lieto fine austeniano. Edward Ferrars, per fare un esempio, in questo sequel diventa la quintessenza del pastore intransigente, indurito dalla vita dura che è costretto a condurre a causa della modesta rendita, ma ostinato a non volersi fare aiutare dalla moglie Elinor, che si piega e ubbidisce a ogni suo ordine, pur avendo diversi romanzi chiusi nel cassetto, pronti a essere pubblicati, se solo lui acconsentisse. Non proprio quello che ci si sarebbe aspettati dopo la fine di Ragione e sentimento.

Emma Watson e i Watson, l’unico dei sequel di Joan Aiken a essere stato tradotto in italiano, è ancora una volta un ottimo romanzo storico, ma sembra aver interpretato in modo molto netto i personaggi che escono fuori dall’opera incompiuta, appiattendo la loro tridimensionalità austeniana. Inoltre, quando James Edward Austen-Leigh pubblicò I Watson all’interno della seconda edizione di A Memoir of Jane Austen, nel 1871, come abbiamo già detto in precedenza, scrisse che la zia aveva raccontato a Cassandra per grandi linee la trama del romanzo:

«Quando la sorella dell’autrice, Cassandra, mostrò il manoscritto di questo lavoro a qualcuna delle sue nipoti, disse loro anche qualcosa sul seguito della storia, dato che con questa cara sorella – anche se, credo, con nessun altro – sembra che Jane abbia parlato liberamente di ogni lavoro che avesse tra le mani. Mr. Watson sarebbe morto presto e Emma costretta a dipendere per una casa dalla meschinità del fratello e della cognata. Avrebbe rifiutato la proposta di matrimonio di Lord Osborne, e molto dell’interesse del racconto sarebbe derivato dall’amore di Lady Osborne per Mr. Howard, innamorato invece di Emma, che alla fine avrebbe sposato»[11].

Ma Aiken sembra ignorare le “disposizioni” di Jane Austen, e rivoluziona la storia a suo piacimento, con quello che sembra tutt’altro che un omaggio alla scrittrice.

Un po’ più credibile il sequel di Mansfield Park, Mansfield Rivisited, che ricalca piuttosto fedelmente alcune situazioni dell’originale austeniano, con un ricambio dei personaggi che potrebbe farlo sembrare quasi una “seconda stagione” di una serie TV di successo: alcuni personaggi sono convenientemente morti, altri sono partiti, come se non fosse stato “rinnovato il contratto” agli attori (è il caso di Fanny ed Edmund, che partono nelle Indie Occidentali alla morte di Sir Thomas), e la parte della protagonista è assunta da Susan Price, la sorella più giovane di Fanny che già alla fine di Mansfield Park l’aveva sostituita nel far compagnia alla zia, Lady Bertram.

Insomma, pare che sia McCullough che Aiken abbiano cercato di inserire i romanzi di Jane Austen in un contesto storico che la loro autrice dava per scontato o a cui preferiva non fare riferimento per evitare che, dopo qualche anno, questi “scadessero”, non risultassero cioè dei romanzi contemporanei com’era suo desiderio. Ma, nel farlo, hanno stravolto il carattere dei personaggi austeniani.

Un altro sequel molto interessante, scritto ben prima del boom della seconda metà degli anni ‘90, è uno dei tanti completamenti di Sanditon, a opera di Marie Dobbs, che nella prima edizione, del 1975, si firma col nom de plume di Another Lady (un’altra signora, con riferimento proprio a Jane Austen, che firmò il suo primo romanzo, Sense and Sensibility, con lo pseudonimo di A Lady).

Dobbs scelse di scrivere questo romanzo perché, essendo moglie di un diplomatico, si trovava a Mosca negli anni ‘70, ed era pertanto alla ricerca di un argomento innocuo, che non le attirasse attenzioni indesiderate da parte del KGB.

Nella Postfazione del libro, Dobbs motiva le proprie scelte e si scusa per aver osato terminare il romanzo di Jane Austen.

«Per quale altro motivo c’era da preoccuparsi nel completare l’ultimo manoscritto di Jane Austen? Semplicemente, per il modo in cui lei lo aveva scritto. Il suo linguaggio, la sua integrità e i suoi metodi di lavoro coscienziosi – quella tecnica terribilmente accurata e meticolosa – si combinano per darci lo stesso senso di serenità e di certezza dei sei romanzi, in cui diede vita al proprio mondo e lo rese reale per noi. Nessuna di queste cose può essere copiata fedelmente. E per le loro carenze in questo settimo romanzo, chiedo scusa»[12].

Il risultato, tuttavia, è una storia originale, ma contemporaneamente fedele ai precedenti romanzi di Jane Austen, con personaggi che coniugano caratteristiche di altri personaggi austeniani in modo tale da essere somiglianti ma unici, e situazioni leggermente atipiche per Jane Austen, che, allo stesso tempo, ricordano vagamente Emma.

Questo completamento è importante perché è stato scelto tra i tanti per realizzare la trasposizione cinematografica del romanzo di Jane Austen, che non poteva restare certo incompiuto. Questo sarà dunque il primo sequel austeniano a entrare nelle sale cinematografiche dopo che Death Comes to Pemberley di P.D. James è stato adattato per la TV nel 2013. Charlotte Rampling vestirà i panni di Lady Denham [*].

I sequel sono la prima forma di derivato, quella più naturale che scaturisce dalle opere di Jane Austen. Ma non sono certo gli unici, ormai. Come in tutti i generi di grande successo, una volta che il mercato diventa saturo, si cerca di creare un’alternativa originale, che continui però ad avere un sapore – anche vagamente – austeniano. Ecco i retelling: narrazioni dal punto di vista di altri personaggi o riscritture in chiave moderna di ogni genere, per adulti e per adolescenti; le variations, romanzi in cui gli eventi seguono il loro corso fino a un certo punto per poi deragliare su altri binari rispetto agli originali, giungendo però sempre allo stesso lieto fine; i fumetti e i manga, le contaminazioni paranormali che trovano la loro forma più estrema nel mash-up, in cui nel romanzo originale vengono inserite presenze mostruose (zombie, vampiri, mostri marini, mummie, ecc.), i romanzi pornografici, e così via, per arrivare sull’ordine delle migliaia, con decine di pubblicazioni e auto-pubblicazioni ogni mese.

«Ma sono libri di vitale importanza, che accrescono il gradimento da parte nostra di un capolavoro, o semplicemente spazzatura derivata senza la quale si può vivere benissimo? Naturalmente molto dipende dal talento dell’autore. Alcuni dimostrano un’accurata conoscenza del periodo e un vero apprezzamento dei personaggi, e creano libri nuovi, che sono un autentico tributo a Jane Austen. […] Sequel ben scritti possono essere letture divertenti e far riflettere il lettore in modo sensato sul possibile destino dei personaggi. Altri si limitano a gettarsi nella corrente, utilizzando il nome di Jane Austen per vendere, scarabocchiando libri insulsi, pieni di sesso o di delitti che possano attrarre il mercato di massa»[13].

Sembra proprio che, quando si tratta di romanzi austeniani, la parola “Fine” sia in realtà solo un inizio.

 

 

[1] Jane Austen, Mansfield Park, Edizione Speciale del Bicentenario a cura di JASIT, 2014, trad. it. di Giuseppe Ierolli, p. 413.

[2] Bill Deresiewicz, Jane Austen Porn: We’re All Guilty, Huffington Post, 9 giugno 2011. Fonte: http://www.huffingtonpost.com/bill-deresiewicz/jane-austen-porn-were-all_b_874349.html. Qui e in seguito, dove non altrimenti specificato, le traduzioni sono di chi scrive.

[3] Giuseppe Ierolli, Vecchi scenari e nuovi intrecci, Introduzione a Sybil G. Brinton, Vecchi amici e nuovi amori, Città di Castello (PG), Jo March, 2013, pp. 12-13.

[4] Lettera a Cassandra del 24 maggio 1813, fonte jausten.it.

[5] James Edward Austen-Leigh, A Memoir of Jane Austen, cap. X. Fonte jausten.it.

[6] Lettera a Anna Austen del 9-18 settembre 1814. Fonte jausten.it.

[7] Carrie Bebris, Her Legacy to Novelists, in The Joy of Jane, 2016, Edimburgo, Landsdown Media Ltd. p. 62. Trad. Di chi scrive.

[8] Fonte: http://www.stephaniebarron.com/books.php.

[9] Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio, Edizione Speciale del Bicentenario a cura di JASIT, 2013, trad. it. di Giuseppe Ierolli, p. 329.

[10] Diana Birchall, Middle Sister Melodrama – The Gothic Perils Of Mary Bennet. Fonte: http://www.jasna.org/bookrev/br261p19.pdf.

[11] James Edward Austen-Leigh, A Memoir of Jane Austen. Fonte http://www.jausten.it/jamfjamesedwardtw.html.

[12] Jane Austen and Another Lady, Sanditon. Jane Austen’s Last Novel Completed, New York, Scribner Paperback Fiction, 1998, p. 316.

[13] Susannah Fullerton, Happily Ever After. Celebrating Jane Austen’s Pride and Prejudice, Frances Lincoln Limited 2013, Londra, p. 173.

[*] Quando è stato scritto questo articolo, ancora non era stata realizzata la serie ITV con Rose Williams nei panni di Charlotte Heywood e con la sceneggiatura di Andrew Davies (che ha ideato un prosieguo del romanzo tutto suo). Il film di cui si parlava nell’articolo, invece, non è mai più stato realizzato.

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