Chiude la seconda edizione dello Speakers’ Corner una riflessione firmata da Mara Barbuni.
Le protagoniste dei romanzi di Jane Austen sono caratterialmente molto diverse l’una dall’altra e si ritrovano a vivere esperienze che le rendono uniche e ben riconoscibili. Se dovessi assegnare a ciascuna di loro un epiteto — in una sorta di stile omerico, per così dire — sarei tentata di chiamarle: “Elinor la saggia”, “Marianne l’impulsiva”, “Elizabeth l’indipendente”, “Fanny la silenziosa”, “Emma la sognatrice”, “Catherine la credulona” e “Anne la nostalgica”. C’è però un personaggio femminile secondario che più di tutte le altre giovani donne austeniane si merita l’appellativo di “la comica”: è Harriet Smith.
A mio modo di vedere, Emma è effettivamente il più comico fra i romanzi canonici. È un libro che stimola la riflessione sui rapporti umani e sulle dinamiche — talvolta incontrollabili — che regolano la percezione della verità, ma non credo di essere l’unica alla quale quelle pagine abbiano strappato calorose risate. La stessa Emma è l’artefice, e allo stesso tempo la vittima, di una caleidoscopica commedia degli equivoci; Miss Bates è un puro fenomeno di imbranataggine e di tenera ingenuità; Mr. Woodhouse è quasi un personaggio molieresco; e c’è un brano, che coincide con il ritorno di Mr. Elton a Highbury dopo le nozze, che potrebbe rivaleggiare con le battute dei migliori umoristi di ogni epoca: “quando [Emma] considerò come fosse particolarmente disgraziata la posizione del povero Mr. Elton, che si ritrovava nella stessa stanza con la donna che aveva appena sposato, la donna che aveva voluto sposare e la donna che ci si sarebbe aspettati che sposasse, non poté che concedergli il diritto di sembrare così scarsamente intelligente” (Emma, vol. II, cap. 14).
Come se ciò non bastasse, il personaggio di Harriet Smith è un concentrato di energia comica che non solo si irradia in tutte le azioni che lei compie in prima persona, ma si fa carico anche del rischio del ridicolo da cui le altre ragazze di Jane Austen si tengono a debita distanza. Proviamo a ripensare alla sua vicenda, e paragonandone alcune fasi alle esperienze di altri personaggi femminili austeniani troveremo delle somiglianze straordinarie.
L’allontanamento dai genitori e l’affidamento alle cure di altri nuclei familiari accomuna Harriet a Jane Fairfax e a Fanny Price: Harriet è figlia naturale di sconosciuti e approda nella scuola di Mrs. Goddard; Jane rimane orfana e passa dalle mani della zia e della nonna a quelle dei signori Campbell; Fanny lascia la casa paterna per trovare di che essere sfamata a Mansfield Park. Laddove però le origini ignote di Harriet diventano motivo di allegre fantasticherie (almeno da parte di Emma), la condizione di Jane e di Fanny ci colpisce per la sua amarezza e il sempre incombente senso di abbandono.
La sfrenata intensità delle pene d’amore di Marianne rassomiglia, sotto certi aspetti, alla sofferenza di Harriet dopo la misera caduta della sua illusione di poter sposare Mr. Elton: singulti a profusione di qua e lunghi sospiri di là; ma il dolore di Marianne arriverà a sfiorare la tragedia, mentre sulle ambasce della giovane Smith non possiamo far altro che sorridere — persino quando, come Marianne, ella si libera degli oggetti che la tenevano legata all’uomo dei suoi sogni.
Anche il linguaggio scelto da Austen ci aiuta a proseguire su un percorso comparativo. Tra le battute più celebri di Elizabeth Bennet si annovera la rivendicazione del proprio status di genteel nel corso dell’acceso dialogo con Lady Catherine: “«Sposando vostro nipote, non penserei affatto di lasciare quell’ambiente. Lui è un gentiluomo; io sono figlia di un gentiluomo; fin qui siamo pari»” (OP, vol. III, cap. 14). Non sono forse queste le stesse parole che Emma usa in riferimento ad Harriet durante il suo litigio con Mr. Knightley? “«Che [Harriet] sia la figlia di un gentiluomo, per me è fuor di dubbio»” (Emma, vol. I, cap. 8). Harriet dunque è ritenuta socialmente indegna dell’uomo che ambirebbe a sposare, esattamente come accade a Lizzy; ma l’umiliazione sopportata dall’eroina di Orgoglio e pregiudizio non ci fa ridere neanche per un secondo.
Un personaggio che sotto ogni punto di vista è l’opposto di Harriet Smith è senz’altro Anne Elliot: dalla trovatella di Highbury la protagonista di Persuasione si differenzia nettamente per età, status sociale e personalità (la costanza dell’amore nonostante tutto versus l’irrefrenabile mutevolezza dei sentimenti), eppure, se ci pensiamo, le due donne sono accomunate dallo stesso difetto: l’arrendevolezza all’opinione altrui. Entrambe si lasciano persuadere (da Emma l’una, da Lady Russell l’altra) a rinunciare all’uomo che amano perché ritenuto indegno di loro; ed è da questo evento che si dipana la loro storia. Di certo, però, nonostante la stretta somiglianza della vicenda, noi non possiamo che soffrire insieme ad Anne, e al contrario ci spazientiamo, o ridiamo del comportamento di Harriet.
La ragione di questa diversità di reazione nei lettori ce la offre Jane Austen stessa in un episodio di Emma che potrebbe apparire secondario ed è invece estremamente significativo. Mentre la protagonista ed Harriet si trovano nel negozio di Ford, Austen ci spiega dove sta il limite tra un’anima che dolorosamente si abbandona alla persuasione e una personalità flebile e sempliciotta che si lascia convincere dagli altri solo perché non è capace di concepire un’opinione individuale, né, di conseguenza, di nutrire sentimenti profondi:
“«Devo mandarlo da Mrs. Goddard, signorina?» chiese Mrs. Ford. «Sì… no… sì, da Mrs. Goddard. Solo che il ricamo del vestito è ad Hartfield. No, mandatelo ad Hartfield, per favore. Ma poi, Mrs. Goddard vorrà vederlo. E potrei portare il ricamo del vestito a casa un giorno qualsiasi. Ma il nastro lo voglio subito, perciò sarebbe meglio mandarlo ad Hartfield, almeno il nastro. Potete fare due pacchetti, Mrs. Ford, non è vero?»” (Emma, vol. II, cap. 9).
E la risata che ci facciamo a questo punto conferma la purezza comica del personaggio di Harriet, che, nonostante le tristi peripezie che è costretta ad affrontare, non può evocare in noi la benché minima sensazione di struggimento, di inquietudine o di pena.
La Jane Austen Society of Italy (JASIT) è un’Associazione Culturale Italiana, attiva su tutto il territorio nazionale; in quanto società letteraria, promuove in Italia la conoscenza e lo studio di Jane Austen, la sua vita, la sua opera e tutto ciò che è legato ad essa, attraverso qualunque attività utile a realizzare tale scopo, nel nome dell’arricchimento culturale personale e condiviso.