In questo dicembre 2015 festeggiamo il bicentenario della pubblicazione del quarto romanzo di Jane Austen, Emma. Sul giornale inglese The Guardian la scorsa settimana è stato pubblicato un bell’articolo di John Mullan che esplora le potenzialità tecnico-stilistiche del libro. Vi proponiamo in lingua italiana i suoi passi più significativi, sperando di destare anche il vostro interesse!
Come Emma di Jane Austen ha cambiato il volto della narrativa
di John Mullan
5 dicembre 2015
Nel gennaio del 1814 Jane Austen iniziò a scrivere un romanzo rivoluzionario. Emma, il libro che terminò nell’arco dell’anno successivo, avrebbe cambiato la forma di ciò che è possibile nella narrativa. Può sembrare strano definire Austen “rivoluzionaria” – di certo ben pochi fra i grandi pionieri del romanzo inglese l’hanno ritenuta tale. Da Charlotte Brontë, che nella sua scrittura trovava solo «eleganti bordure» e raffinate limitazioni, a D.H. Lawrence, che la chiamò «inglese nel senso peggiore, più meschino e snob del termine», in molti hanno reputato Jane Austen confinata in un piccolo mondo e nelle piccole preoccupazioni dei suoi personaggi. Alcuni dei grandi modernisti erano perplessi. «Ma cos’è tutto questo chiasso su Jane Austen?» domandò Conrad a H.G. Wells. «Ma cosa ci sarà mai in lei?», «A me Jane non piace… non sono mai riuscito a trovare alcunché in Orgoglio e pregiudizio» disse Vladimir Nabokov al critico Edmund Wilson.
Austen non ha lasciato dietro di sé alcun manifesto artistico, né un resoconto dei suoi metodi narrativi (a parte una manciata di osservazioni giocose contenute nelle lettere alla nipote Anna). Così è stato facile per i romanzieri e per i critici adeguarsi all’idea di Henry James, che la trovava «istintiva e incantevole»; «per trovare esempi di cosa possano fare la composizione, la distribuzione e la strutturazione, e di come possano arricchire la vita di un’opera d’arte, dobbiamo rivolgerci altrove.» Praticamente Austen sapeva a malapena quello che faceva, dunque i romanzieri d’avanguardia come James non avevano niente da imparare da lei.
Ci sono state delle rare eccezioni. L’anno seguente alla pubblicazione di More Pricks Than Kicks, il giovane Samuel Beckett disse all’amico Thomas McGreevy: «Al momento sto leggendo la divina Jane. Penso abbia molto da insegnarmi.» (E adesso aspettiamoci un bel volumone sull’influenza di Jane Austen su Samuel Beckett). I romanzieri contemporanei sono più propensi a riconoscere il suo genio e la sua influenza. I Janeites hanno provato un brivido di soddisfazione nel vedere che il più brillante (da un punto di vista formale) romanzo britannico postmoderno degli ultimi anni, Espiazione di Ian McEwan, si apre con una lunga epigrafe tratta da Northanger Abbey. McEwan avverte il lettore che il suo libro ha tratto la base narrativa – un personaggio che trasforma le proprie fantasie in disastrose realtà – dalla borghesissima e apparentemente conservatrice Jane Austen.
Emma, di cui questo mese festeggiamo il bicentenario della pubblicazione, non fu rivoluzionario per via del suo soggetto, né per i contenuti intellettuali o politici. Fu invece rivoluzionario per la sua forma e la sua tecnica. La sua eroina è una ragazza che vive di illusioni e che ha a disposizione sia il tempo che il potere per impicciarsi della vita dei suoi vicini. La narrazione è radicalmente sperimentale perché è strutturata per condividere le illusioni della protagonista: il romanzo, infatti, sottopone la trama alla lente deformante della mente di Emma. Anche se pochi fra i “grandi” della narrativa del secolo successivo e oltre se ne sono accorti, questo libro appartiene al gruppo dei grandi romanzi sperimentali di Flaubert, Joyce e Virginia Woolf. Quest’ultima scrisse che se Austen fosse vissuta più a lungo «sarebbe divenuta la precorritrice di Henry James e di Proust». In Emma di sicuro lo è.
Per misurare il grado di audacia di questa storia prendiamo a esempio una semplice frase, che nessun romanziere prima di Austen avrebbe potuto scrivere. La nostra eroina privilegiata ha fatto amicizia con una dolcissima e ingenua ragazza di diciassette anni di nome Harriet Smith. È questo un rapporto totalmente sbilanciato: Emma è la donna più intelligente e più ricca di Highbury; Harriet è la «figlia illegittima di non si sa chi», lasciata in un collegio per ragazze di buona famiglia della cittadina. Mentre coltivano la loro amicizia, Emma si rende perfettamente conto che Harriet le è inferiore. «Ma sotto ogni punto di vista, più la frequentava, più si convinceva della generosità del proprio progetto» (cap. 4). La frase è in terza persona, però non è esattamente l’autrice a rivolgersi a noi. “La generosità del proprio progetto” è il giudizio compiaciuto che Emma attribuisce a se stessa: la “gentilezza” la vede tutta lei. Emma ha deciso di “modellare” Harriet: la compagna degli anni precedente, Miss Taylor, si è sposata ed è diventata Mrs. Weston, lasciandola sola e senza una guida. Sarà dunque Harriet il suo “progetto”. Emma dice a se stessa che i suoi piani sono “generosi” perché la sua intenzione è quella di migliorare la sua giovane amica ignorante con gli occhi sbarrati.
Per quanto riguarda le aspirazioni matrimoniali di Harriet (prima con Mr. Elton e poi con Frank Churchill) la narrazione segue il sentiero degli errori di Emma. In effetti, chi legge il romanzo per la prima volta percorre la stessa strada fallace e poi condivide con l’eroina la sorpresa dovuta alla rivelazione della verità. E tuttavia, è pur sempre una narrazione in terza persona: non è Emma a raccontare la propria storia. Noi partecipiamo delle sue valutazioni e la osserviamo mentre le esprime. Austen è stata la prima scrittrice a dominare questa alchimia. In quel periodo stava perfezionando una tecnica che aveva già iniziato ad applicare nel suo primo romanzo pubblicato, Ragione e sentimento. Fu solo nel XX secolo che i critici iniziarono a dare un nome a questa tecnica: la chiamarono “discorso indiretto libero” (free indirect style è una traduzione dal francese style indirect libre). Essa descrive il modo in cui uno scrittore inserisce nella narrazione in terza persona le abitudini di pensiero o di riflessione di un personaggio immaginario. Prima di Austen i narratori sceglievano uno stile in prima persona (lasciandoci entrare nella mente del personaggio, ma limitandoci alla sua comprensione) oppure alla terza persona (consentendoci di godere di un panorama “dall’alto” di tutti i personaggi, ma facendo di loro i pezzi di un gioco di scacchi manovrato dall’autore stesso). Jane Austen, miracolosamente, combina il punto di vista interiore con quello esteriore.
Scrivendo Emma, Austen non si ispirava più a chi l’aveva preceduta, ma si trovava in un territorio nuovo. Il punto di vista dell’eroina eponima è dominante e pervasivo, ma c’è un capitolo, perfettamente calcolato rispetto alla struttura del romanzo, che viene raccontato da un punto di osservazione differente. Esso si colloca nel terzo volume e ci apre una finestra sul punto di vista di Mr. Knightley. Questo è un momento cruciale, che si verifica quando Frank mette un piede in fallo accennando a un pettegolezzo (il dottor Perry che vuole comprarsi un calesse) che può essergli giunto all’orecchio solo tramite la sua corrispondenza segreta con Jane Fairfax. Mr. Knightley si accorge di questo “inciampo” e inizia a sospettare del giovane: l’incantesimo dell’onniscienza di Emma è stato così avvincente che Austen deve ridestarci per un momento. Alla fine del capitolo Mr. Knightley suggerisce alla ragazza che ci dev’essere qualcosa di segreto tra Frank e Jane: non si può certo dire che a Emma non sia stata fornita la possibilità di rendersi conto della verità.
Austen usa diverse tecniche per accompagnarci alla lettura dei pensieri di Emma. Nei momenti più importanti lo stile indiretto libero si avvicina a un linguaggio teatrale, e l’autrice fa uso di una particolare punteggiatura per darvi enfasi, costituita da punti esclamativi e da lunghe serie di dash (i trattini lunghi che significano interruzione, mutamento di opinione o di prospettiva). Questa innovazione stilistica ci consente di esplorare i pensieri della protagonista, di simpatizzare con lei, di giudicarla e di prenderci gioco del fatto che lei ignori completamente i propri sentimenti.
Il racconto di come sia lenta la presa di consapevolezza di Emma del suo amore per Mr. Knightley è magistrale, come è eccezionale l’illuminazione finale, che per lei ha il carattere di un vero shock: «Le trapassò la mente, con la rapidità di una freccia, l’idea che Mr. Knightley non poteva sposare altra donna che lei!» (cap. 47). Che frase geniale! Con un ardire straordinario, Austen ci mostra che l’amore può essere la scoperta di ciò che una persona ha nutrito nel cuore, inconsapevolmente, per mesi… per anni. In quell’istante, all’improvviso e per la prima volta, Emma comprende la trama della propria storia.
Jane Austen sembra voler tentare i lettori meno attenti a non prestare attenzione all’audacia stilistica di questo romanzo e a perdere di vista i suoi “trucchi”. Coloro che lo leggono più volte sono ricompensati, perché possono andare alla scoperta di strati narrativi nascosti, quasi come se si trovassero di fronte a una detective story.
La Jane Austen Society of Italy (JASIT) è un’Associazione Culturale Italiana, attiva su tutto il territorio nazionale; in quanto società letteraria, promuove in Italia la conoscenza e lo studio di Jane Austen, la sua vita, la sua opera e tutto ciò che è legato ad essa, attraverso qualunque attività utile a realizzare tale scopo, nel nome dell’arricchimento culturale personale e condiviso.
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