Fratelli e sorelle

Il nostro recente post “Sorelle nel romanzo e nella realtà” ci ha fatto ripensare a quale importanza rivestano, nella biografia e nelle storie di Jane Austen, i rapporti tra fratelli e sorelle.

Le lettere di Austen che sono giunte fino a noi sono la principale testimonianza della forza del legame esistente tra l’autrice e la sorella maggiore Cassandra (uniche due femmine nella numerosa prole di Mr e Mrs Austen); il ruolo di Cassandra è quasi quello di uno specchio sul quale si riflettono i pensieri di Jane, ovvero quelle sue immediate “prime impressioni” del tutto libere dai normali ripensamenti generati dalla necessità della scrittura narrativa. Grazie alle lettere possiamo percepire la straordinaria portata dell’ironia di Jane, ma possiamo anche indulgere nella tenerezza di certe sue manifestazioni di rimpianto, o ci viene data la possibilità di interpretare talune ambiguità delle sue opinioni e dei suoi ricordi.

Jane e Cassandra Austen nel film Becoming Jane

Non sorprende, di conseguenza, che i protagonisti dei sei romanzi canonici siano sempre rappresentati, nel bene e nel male, in affinità, in paragone o in conflitto con i loro fratelli o le loro sorelle. Se i più celebri esempi di tale raffigurazione sono senz’altro Jane e Elizabeth Bennet (Orgoglio e pregiudizio) e Elinor e Marianne Dashwood (Ragione e sentimento), sulle quali si sono espressi, come visto anche nel post citato in precedenza, commenti e elucubrazioni relativi ad una possibile immedesimazione dell’autrice con le sue creature, molto interessanti sono, a nostro avviso, anche altri rapporti di fraternità e sorellanza, forse considerati con minore frequenza.

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Tom Lefroy e Jane Austen

tomjanecopspenceIl breve flirt che vide protagonisti Jane Austen e Tom Lefroy durante le feste di Natale e fine anno del 1795-96 ha sempre solleticato la fantasia dei lettori austeniani, con un picco a seguito dell’uscita, nel 2007, del film Becoming Jane, ispirato liberamente a una biografia con lo stesso titolo di Jon Spence (Becoming Jane Austen, Continuum, London-New York, 2003) dove l’autore cerca, in modo un po’ spericolato, di riconsiderare le vicende dei romanzi di JA seguendo proprio il filo rosso di questo amore giovanile, unito ad altre vicende biografiche della scrittrice.

È innegabile che i romanzi austeniani siano stati influenzati dalla vita e dell’ambiente sociale dell’autrice; ce lo dice lei stessa, in due famose citazioni tratte da lettere alla nipote Anna, che le aveva mandato un suo romanzo per avere dei consigli dalla zia scrittrice:

E riteniamo che faresti meglio a non lasciare l’Inghilterra. Lascia che i Portman vadano in Irlanda, ma dato che tu non sai nulla delle Usanze di laggiù, faresti meglio a non andare con loro. Correresti il pericolo di fare descrizioni inesatte. Resta fedele a Bath e ai Forrester. Là sarai a casa tua.
(Lettera 104 del 10-18 agosto 1814)

Ora stai radunando i tuoi Personaggi in modo delizioso, mettendoli esattamente in un posto che è la delizia della mia vita; – 3 o 4 Famiglie in un Villaggio di Campagna è la cosa migliore per lavorarci su.
(Lettera 107 del 9-18 settembre 1814)

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Sorelle nel romanzo e nella realtà

Traduciamo per voi un articolo apparso sul Telegraph dello scorso 28 maggio. Si tratta di un estratto dal volume The real Jane Austen, di Paula Byrne
(http://www.telegraph.co.uk/culture/hay-festival/10082435/Hay-Festival-2013-The-real-Jane-Austen.html):

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Jane Austen è stata una dei primi romanzieri a scrivere a proposito di coppie di sorelle. In Ragione e sentimento (1811) e in Orgoglio e pregiudizio (1813), ci troviamo a cospetto di sorelle il cui rapporto reciproco ha lo stesso valore ai fini della storia di quanto ne abbia il loro interesse nelle relazioni amorose. I lettori sono stati dunque tentati di tracciare dei parallelismi tra le sorelle dei romanzi e le sorelle Austen.

Le sorelle Bennet nella versione di Orgoglio e Pregiudizio di Joe Wright (2005)

Sono sempre le sorelle minori, come Elizabeth Bennet e Marianne Dashwood, ad essere descritte come coloro che dicono cose scioccanti alle loro sorelle maggiori, provocando sia la loro indignazione che le loro risate. Di questo stesso tenore appaiono le lettere di Jane a Cassandra. Contemporaneamente, le sorelle maggiori, di ottime maniere e più prudenti, sono state paragonate a Cassandra stessa. Non è forse Elinor Dashwood appassionata di disegno, come Cassandra? E la più giovane e burrascosa Marianne Dashwood di Ragione e sentimento non condivide con la sua creatrice l’amore per la musica e i romanzi?

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Livorno e i Lefroy

I vecchi cimiteri sono sempre luoghi molto piacevoli. In genere sono ovviamente molto silenziosi (a meno che non siano a ridosso di qualche strada trafficata) e, altrettanto ovviamente, pieni di storie interessanti che hanno il pregio di essere evocate con le poche parole di una lapide, quasi mai sincere ma spesso rivelatrici.

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L’antico cimitero degli inglesi di Livorno (nato nel 1644, e quindi il più antico di questo genere in Italia) non fa eccezione. Si trova in pieno centro, vicino a via Verdi, e la sua storia, insieme a un’accurata ricostruzione delle vicende che lo hanno riguardato nel corso di più di tre secoli e mezzo, si può leggere in un libro pubblicato di recente: Un archivio di pietra: l’antico cimitero degli inglesi di Livorno, a cura di Matteo Giunti e Giacomo Lorenzini, Pacini Editore, Pisa, 2013.

Oltre all’interesse per un luogo storico e poco conosciuto, il cimitero ha anche, per un austeniano, un’attrattiva in più per un particolare che lo lega, sia pure indirettamente, a Jane Austen. Nel cimitero, infatti, ci sono cinque sepolture riconducibile alle famiglie Lefroy e Langlois, ovvero ai parenti prossimi di quel Tom Lefroy che fu il primo flirt conosciuto della scrittrice inglese.

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Le radici di Jane Austen nello Hampshire

Vi offriamo qui la traduzione di un sognante articolo di Sophie Campbell alla scoperta delle radici di Jane Austen (pubblicato sul Telegraph lo scorso 16 aprile). Potreste trovarlo utile come una piccola guida per un meraviglioso viaggio nei luoghi di Jane! Scrive Campbell:

Ci troviamo sotto una disordinata fila di alberi inglesi, a sbirciare un deserto campo dello Hampshire che si stende al di là di una recinzione di filo spinato. Fa così freddo che la terra stessa sembra stretta nella sua morsa, mentre digrada in direzione di una siepe, una cancellata e una stradicciola di campagna. Questo è il luogo dove nacque Jane Austen, ma non si vede alcuna insegna marrone (in Inghilterra i luoghi di interesse turistico sono contrassegnati da indicazioni su fondo marrone, NdT). Non si vede neppure una casa: il rettorato di Steventon, con le sue sette stanze, il suo rustico porticato, l’orto di Mrs Austen e il granaio dove Jane e i suoi fratelli giocavano, sono scomparsi da tempo.

E tuttavia noi guardiamo. La nostra celebre romanziera potrebbe aver rotolato giù da questa collina quand’era bambina, come Catherine Morland in L’abbazia di Northanger. O anche no, ma questo è il bello del turismo letterario: puoi sognare.

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Jane Austen e il matrimonio

Romina Angelici continua i suoi viaggi tematici nelle lettere e nelle opere di Jane Austen.

Il matrimonio: un lieto fine da romanzo ma non uno scopo di vita a tutti i costi. È a questo riguardo che si intuisce lo spirito più femminista e moderno della scrittrice.
A detta della nipote Caroline (nel suo Memoir), raramente la zia esprimeva un’opinione, ma in una delle rare eccezioni in cui evidentemente si lascia andare per amore della nipote Fanny, Jane non esita a sostenere un’opinione precisa:

ti supplico di non impegnarti oltre, e di non pensare di accettarlo a meno che non ti piaccia davvero. Qualsiasi cosa è preferibile o più tollerabile dello sposarsi senza Affetto;
(Lettera 109, 18-20 novembre1814, a Fanny Knight)

Un’opinione già espressa sei anni prima, con parole molto simili:

Il matrimonio di Lady Sondes mi sorprende, ma non mi offende; – se il suo primo matrimonio fosse stato per affetto, o ci fosse una Figlia da crescere, non l’avrei perdonata – ma ritengo che chiunque abbia diritto almeno una volta nella vita a sposarsi per Amore, se può
(L63, 27-28 dicembre 1808)

Del resto aveva abbastanza esperienza dei legami matrimoniali più o meno riusciti e soprattutto considerava disincantata che un affetto poco convinto avrebbe resistito poco alla prova del tempo e delle difficoltà. Sapeva bene che, nella vita reale, dopo le nozze non esisteva il finale delle favole “e vissero tutti felici e contenti” e la convivenza coniugale poteva non essere affatto tutta rose e fiori. Forse pensava proprio a questo, quando scrisse l’inizio dell’ultimo capitolo di Mansfield Park:

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