Lo scorso 8 gennaio 2015, sulle pagine del Corriere della Sera, Pietro Citati ha scritto una riflessione sul personaggio di Anne Elliot, indimenticabile protagonista di Persuasione, e sulle tracce della personalità e della vita della stessa autrice che vi si potrebbero rintracciare. Scrive Citati:
Non possiamo dire se la Austen abbia riflesso sé stessa nel carattere di Anne Elliot: perché non sappiamo chi sia Jane Austen, lo scrittore più occulto e misterioso che sia mai esistito; con la mente perduta nei pensieri più illimitati e infiniti mentre sembra soltanto concentrarsi su «un pezzettino d’avorio (largo due pollici) su cui lavora con un pennello così fine che, dopo molte fatiche, l’effetto resta minimo». Anche se la Austen non è Anne Elliot, si identifica con lei, vede con i suoi sguardi, parla con la sua voce, ascolta con le sue orecchie. Così Anne Elliot diventa il centro luminoso e radioso del libro.
Non ci resta che seguirlo nella sua riflessione.
Di seguito, riportiamo per intero il testo dell’articolo nonché il collegamento alla pagina originale del Corriere della Sera.
Classici – Il capolavoro uscì quasi due secoli fa
Anne, l’eroina di «Persuasione» Sembra proprio Jane Austen
Si identifica con lei, vede con i suoi occhi, parla con la sua voce, ascolta con le sue orecchie Anne è il centro luminoso e radioso del romanzo
Jane Austen finì di scrivere il suo capolavoro, Persuasione , nel marzo 1817: «L’eroina – disse alla nipote Fanny – mi è venuta fin troppo bene». Ma, nel gennaio 1817, venne colpita da una malattia ignota, e il 18 luglio morì, affondando per sempre il capo nelle spalle della sorella Cassandra, e invocando quel Dio che aveva sempre rigorosamente abolito nei suoi romanzi. Persuasione uscì l’anno dopo, nel 1818, accompagnato da una nota del fratello Henry, che svelava il mistero del nome di Jane Austen.
Persuasione ha un carattere singolare: mentre gli altri romanzi della Austen avvenivano in un tempo sconosciuto e inesistente, Persuasione allude alla storia del tempo: la guerra con la Francia, nel 1814, un anno prima della sconfitta definitiva di Napoleone a Waterloo. Ma è solo un cenno: poi ogni riferimento storico è abolito: la storia viene cancellata; e l’unico tempo vero è quello della passione amorosa, che rinasce tra Anne Elliot e il capitano di marina Frederick Wentworth, che si erano già amati otto anni prima.
Anne Elliot è la figura femminile più complicata della Austen: la più matura, visto che ha quasi ventisette anni, un’età quasi decrepita in quell’incantevole cicaleccio giovanile che abita e rende vivi i suoi romanzi. Su di lei corrono molte definizioni, sia disegnate dalla scrittrice sia dai personaggi: «di mente eletta e dolce di carattere»; «raffinata e colta»; «una lucida intelligenza unita a dolcezza di modi»; «dotata di intensa sensibilità e di temperamento malinconico»; «il suo carattere è la giusta via di mezzo tra la finezza d’animo e la gentilezza». Nessun altro personaggio ha il calore del suo cuore. Sappiamo che ama stare sola e silenziosa, come si conviene a un malinconico: cancella sé stessa; possiede una profonda intuizione del carattere degli altri e di tutto ciò che accade intorno a sé, di modo che lei, la sola, la silenziosa, è al tempo stesso il cuore della vita sociale, sebbene gli altri non si accorgano della sua influenza segreta.
Non possiamo dire se la Austen abbia riflesso sé stessa nel carattere di Anne Elliot: perché non sappiamo chi sia Jane Austen, lo scrittore più occulto e misterioso che sia mai esistito; con la mente perduta nei pensieri più illimitati e infiniti mentre sembra soltanto concentrarsi su «un pezzettino d’avorio (largo due pollici) su cui lavora con un pennello così fine che, dopo molte fatiche, l’effetto resta minimo». Anche se la Austen non è Anne Elliot, si identifica con lei, vede con i suoi sguardi, parla con la sua voce, ascolta con le sue orecchie. Così Anne Elliot diventa il centro luminoso e radioso del libro.
Un pesante passato grava sulle sue spalle, specialmente nelle prime pagine del romanzo: ha avuto un amore infelice, di cui lei stessa è colpevole; o almeno è colpevole di aver seguito il consiglio di una sua vecchia amica, che la ha indotta ad abbandonare il capitano Wentworth. Era stato un grande amore: «sarebbe difficile dire chi dei due fosse più convinto dell’assoluta perfezione dell’altro, e chi dei due fosse più felice». Da allora sono passati otto anni: moltissimo tempo, sembrano dire i lettori; ma pochissimo, quasi nulla, per chi come la Elliot manca completamente del dono di dimenticare. Presto sapremo che nemmeno il capitano Wentworth ha dimenticato: il passato resta fermo, fisso nella sua mente, che continua a rivangare i primi, luminosissimi tempi del suo amore.
Quando il libro si apre, con note deliziosamente comiche, Anne Elliot è una donna sfiorita e smagrita: «il suo splendore giovanile era presto svanito; e tuttavia anche quando era stata al massimo, il padre e molti altri avevano trovato poco da ammirare in lei, nei suoi tratti delicati, nei suoi tenui occhi sereni». Dopo otto anni di assenza, riappare il capitano Frederick Wentworth: ancora più bello, intelligente, vivace, aperto, radioso e brillante di una volta; con qualcosa che incanta tutti – la velocità del passo e della fisionomia -; e una decisione e una determinazione che lo rendono padrone di qualsiasi futuro.
Persuasione racconta come l’amore ritorni, ancora più possessivo di una volta, nel cuore dei due protagonisti, e li riaccenda l’uno dell’altro. Credono di essere diventati estranei: divisi dalla dimenticanza e, forse, da un sotterraneo rancore. Ma si sbagliano. Si ritrovano a Bath, tra i grandi edifici nebbiosi, fumiganti nelle piogge: dove i turisti fanno la cura delle acque, si procurano le novità librarie, e frequentano un mucchio di persone, irritandosi ogni volta che conoscono un altro estraneo. Né la Austen né Anne Elliot amano Bath: disprezzano la elegante stupidità degli inviti privati; e le strade affollatissime, percorse, sotto la pioggia, da due fiumane di gente disoccupata.
Eppure la squallida e noiosa Bath diventa il centro del nuovo amore, fiorito tra Anne Elliot e il capitano. Una mattina Anne lo scorge scendere sull’altro lato della strada: ha un sussulto di cui è consapevole: ma si rende conto all’istante «di essere la più sciocca del mondo, la più irresponsabile, la più assurda di tutte le teste vuote». Per qualche momento non vede più nulla davanti a sé: tutto è confuso e appannato. Lo sguardo interiore di Anne, che la Austen condivide, scorge dal di fuori il capitano, di nuovo come un apparente estraneo. Da quale folla di sentimenti viene pervasa: agitazione, sofferenza, gioia, qualcosa a metà tra la felicità e la disperazione. Lui le parla: ma lei è così sconvolta che non afferra una parola di quello che le dice.La mattina dopo la grande scena sulla strada piovosa, Anne trascorre un’ora incessantemente inquieta, in trepida attesa di rivederlo, ma invano. Finalmente al ritorno lo scorge sul marciapiede di fronte, a una distanza tale da poterlo guardare nitidamente: la sua è la felicità non di parlare ma semplicemente di vedere, riempiendo di lui il proprio sguardo. Immagina di essere più equilibrata di quanto sia: in realtà ha la testa completamente perduta. Quando si parlano, la loro conversazione è impacciata: non hanno nulla o poco da dirsi: o lei dimentica ciò che il capitano le dice; sebbene il suo cuore sia pieno di un turbine di sentimenti tumultuosi.
Certe frasi del capitano, cominciate e interrotte, certe occhiate sfuggenti sono più che significative. Tutto parla di un cuore che torna a lei: in esso non albergano più né rancore né risentimenti; sostituiti non solo da semplice amicizia e rispetto, ma dalla tenerezza di un tempo, o almeno da una parte di questa tenerezza. Anne capisce che lui la ama: questo pensiero la occupa e la agita al punto da non permetterle di guardarsi intorno. Cammina senza vederlo: senza nemmeno tentare di vederlo; vive il proprio amore esclusivamente in sé stessa. Prima l’amore di lei e di lui erano nell’ombra: ora vengono alla luce, completamente alla luce, così da irradiare a loro volta tutto il mondo esistente.
L’amore ritornato conosce due passi significativi. Il primo è quando Anne discorre sull’amore che provano gli uomini e le donne. «È il nostro destino – dice Anne delle donne -. Non possiamo farne a meno. Viviamo tranquille, confinate in casa, preda dei nostri sentimenti. Voi siete costretti all’azione: avete sempre una professione e degli interessi, o degli affari di questo o di un altro tipo: siete sempre occupati; i cambiamenti di vita attenuano i vostri sentimenti. I sentimenti femminili sono più teneri…». «Gli uomini hanno sempre avuto molto più di noi: la possibilità di narrare la loro storia. L’istruzione è sempre stata loro appannaggio a un livello superiore. La penna è in mani maschili»; dice la Austen insieme a Anne, nel momento stesso in cui prende la penna in mani finalmente femminili. «Il privilegio che rivendico al mio sesso è quello di amare più a lungo, anche quando la speranza e la vita sono finite».
Il passo definitivo avviene quando il capitano rivela il proprio amore in una lettera. «Non dite, per favore, che l’uomo dimentica più della donna, che il suo amore è più rapido a morire. Non ho amato nessuna – il capitano scrive con la sua robusta, veloce determinazione – all’infuori di voi». È la prima volta che il suo amore, rimasto sempre invisibile, viene alla luce. In quel momento, Anne viene sopraffatta dalla felicità. Conosce totalmente il capitano: tutto, anche il suo passo, il suo veloce modo di camminare che diventa il segno apparente di lui. Ora Anne non è più sfiorita: ma piena di giovinezza, nel volto, nell’anima, nel corpo, nel fascino indefinibile che l’avvolge.
La fine del libro è intensissima: così intensa che getta nell’ombra tutte le sensazioni e i sentimenti finora conosciuti. L’amore tra i due rivela di essere eterno: parola rarissima nella Austen, che appare in realtà soltanto qui, in questa conclusione sublime. «Mezzo minuto più tardi i due camminano faccia a faccia, scambiando le parole necessarie a dirigere i loro passi verso il tranquillo e appartato vialetto di ghiaia, dove la conversazione avrebbe reso benedetta quell’ora, e degna di quell’eternità che, in futuro, il ricordo dei loro momenti più felici avrebbe loro concesso. Qui allora si scambiano di nuovo quei sentimenti e quelle promesse che un tempo erano parsi definitivi e che invece erano stati seguiti da tanti e tanti anni di separazione e di estraneità. Si immergono di nuovo nel passato, forse ancora più squisitamente felici in questo ritrovarsi di quanto vi si erano sentiti la prima volta: più teneri, più provati dalla vita, più consapevoli di conoscersi da vicino, più sicuri della sincerità e dell?affetto, più pronti all’azione, più giustificati nel comportamento».
Pietro Citati
Pagina 48
(08 gennaio 2015) – Corriere della Sera
Riferimenti Bibliografici
– Collegamento all’articolo nell’archivio del sito del Corriere della Sera
– Articolo in formato PDF dalla rassegna stampa di zeroviolenza.it
(Bologna, Italy) – Diplomata Traduttrice e Interprete e laureata in Lingue e Letterature Straniere, ha lavorato come traduttrice e da anni si occupa di marketing e comunicazione aziendale. Il suo maggiore interesse libresco è la letteratura scritta dalle donne. Ha letto Jane Austen per la prima volta a vent’anni (Orgoglio e Pregiudizio). Nel dicembre 2010 ha aperto il blog monografico Un tè con Jane Austen e nel 2013 ha fondato Jane Austen Society of Italy (JASIT), di cui è presidente.