“L’abbazia di Northanger”: insolito e tipico

Questo interessante articolo, “L’abbazia di Northanger”: il più insolito ed al contempo tipico romanzo di J. Austen , di Giada Greco, ci accompagna in un’indagine accurata di “Northanger Abbey”, della sua storia, dei suoi personaggi, dei suoi motivi e delle sue simbologie.

Devo ammettere io per prima di aver letto Northanger Abbey una sola volta ed era rimasto nei miei ricordi come il romanzo meno riuscito di Jane. Ho deciso di rileggerlo e sono arrivata in fondo domandandomi come mi fosse passata di mente quella poco affettuosa catalogazione.
Perché L’Abbazia è sicuramente il più insolito dei romanzi austeniani ma è anche pregno di tutti gli elementi tipici dei lavori della cara J.: un ritratto della società del tempo costellata di personaggi che potremmo facilmente riconoscere in una zia o nel collega di lavoro, un’eroina non perfetta che compie un percorso di miglioramento grazie anche al contributo dell’eroe e premiata per questo con la felicità amorosa, e quello stile ironico e personale contraddistingue la Austen.

Iniziamo dal titolo, che si riferisce all’abitazione dei Tilney ma che non viene nemmeno menzionata prima di giungere a metà libro: in una prima stesura la Austen l’aveva intitolato Catherine come la giovane protagonista, ma credo che l’Abbazia meriti la ribalta perché è lì che avvengono la trasformazione e la maturazione della protagonista, oltre a simboleggiare il mistero che tanto la affascina ed essere il teatro anche della scoperta della vera natura del villain, il generale Tilney.

La piccola Catherine è un personaggio assai piacevole, ingenua come è giusto esserlo a quindici o sedici anni, permeabile alle influenze esterne eppure con un carattere che va delineandosi. Jane ce la presenta immediatamente nell’incipit: “Nessuno che avesse conosciuto Catherine Morland al tempo della sua infanzia avrebbe veduto in lei una futura eroina”; l’autrice tiene a mostrarci subito come Catherine sia una ragazza decisamente “normale”, dicendoci, riguardo alla sua educazione: “i risultati non furono in nessun caso notevoli e quando le era possibile marinava sempre le lezioni…” “… era rumorosa ed indisciplinata…”: insomma, una bambina come tante, straordinaria in nulla e bruttina fino ai 15 anni, come effettivamente accade a moltissime ragazze.NorthangerAbbey_i-199x300Catherine non è perfetta, come non lo sono mai le eroine di J., è vanitosa sebbene modesta, inizialmente giustifica alcuni atteggiamenti di Isabella, ma su Thorpe non si inganna: “… non riusciva a reprimere il dubbio… che egli non fosse pienamente gradevole. Era un giudizio audace poiché era il fratello di Isabella e James le aveva assicurato che i suoi modi lo rendevano gradito a tutte le esponenti del gentil sesso…”. Quindi, sebbene sia abbastanza ingenua da chiedere apertamente di Henry a sua sorella palesando il suo interesse, non si fa affascinare da Thorpe e dalle sue vuote vanterie come invece tante altre ragazze, colpevoli di giudicare secondo l’educazione ricevuta.

Già, perché Thorpe, ufficialmente, non manca delle qualità che una signorina del tempo doveva cercare in un uomo. Ma a Catherine ciò non basta affatto, lo trova innanzitutto noioso e poi accanto ad Henry difficilmente avrebbe potuto notare qualcun altro. Tilney è un uomo da sogno, ha: “sguardo intelligente e modi piacevoli, non rigorosamente bello ma prossimo ad esserlo…”, ma il motivo per cui comprendo l’innamoramento praticamente istantaneo di Catherine è l’acuta ironia del giovane, come dimostra con il discorso sulla mussola alla Sig.ra Allen.

Tilney è un uomo in grado di dire: “nessuno può imporsi all’attenzione di uno di noi senza recare offesa all’altro”, oltre ad essere il responsabile del ritorno di Catherine alla realtà, ma anche lui non è perfetto: contrariamente ad Eleonor, è prontissimo a condannare Catherine in conseguenza delle bugie di Thorpe, salvo poi essere altrettanto pronto a perdonarla una volta chiarita la faccenda. Inoltre, è un uomo di 26 anni che in presenza del padre ancora si “spegne” quasi del tutto.

Il libro è evidentemente anche una sorta di affettuosa parodia del genere gotico, evidenziandone gli elementi tipici in modo ironico. Frasi come: “… quando una giovinetta deve divenire un’eroina non sarà la perversità di 40 famiglie del vicinato ad impedirglielo… qualcosa deve accadere ed accadrà a mettere un eroe sulla sua strada” o le fantasie di Catherine che vede misteri dove non ce ne sono, l’accenno alla deludente normalità del viaggio fino a Bath e perfino: “… nessuno fu preso da estatico stupore a vederla…” riferito alle reazioni suscitate da Catherine a Bath, ci sottolinea in maniera giocosa quelle peculiarità del genere che comunque Jane dimostra di conoscere ampiamente da divoratrice appassionata di tali romanzi.

Non credo sia un caso che i due “pretendenti” di Catherine abbiano una precisa opinione riguardo ai romanzi: Thorpe li rifiuta del tutto, mentre Henry afferma di averne letti a decine. Questo è un nodo interessante, dato che sembrerebbe indicare che non si abbia nulla contro simile letteratura, salvo non lasciarsene eccessivamente influenzare, come accade a Catherine, che perde un po’ il senso della realtà. Anche perché quest’ultima è spesso ben più orrorifica di qualsiasi romanzo, come J. non tarda a dimostrare con i personaggi del Generale Tilney e di Isabella. I personaggi negativi non sono pazzi malvagi o crudeli, certamente lontani dalla vita reale: sono invece un padre attaccato ai soldi, che cambia atteggiamento in modo radicale nei confronti della sua ignara ospite, ed una ragazza frivola e vanitosa, molto superficiale ed opportunista – caratteristiche, insomma, riscontrabili ahimè con grande facilità anche ai giorni nostri.

La grandezza di Jane sta proprio lì: creare un piccolo gruppo di personaggi con comportamenti e caratteristiche senza tempo, mostrando come la natura umana non sia cambiata poi molto dall’800 ad oggi, mostrandone anche le bassezze, gli abissi nascosti dietro l’ipocrisia ieri come oggi.

A chi aveva affermato che Jane fosse un’autrice “distaccata”, si può rispondere anche con estratti di Northanger Abbey che si rivelano ammonimenti contro la violenza di nobili che traggono diletto dal segregare giovani signorine in fattorie remote…” è un chiaro riferimento alla Pamela di Richardson, autore molto amato da Jane; ma anche il “processo” di Henry a Catherine sull’uso di “grazioso” (nice in originale) denota scrupoli sulla precisione del linguaggio che sono diretta espressione della Austen.

Manca qui lo spazio per citare altre mille espressioni argute, altri mille dettagli che rendono anche questo libro un importante tassello della produzione Austeniana. Io non posso che unirmi quindi a coloro che rifiutano, per questo romanzo, l’etichetta di “opera minore”.

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2 commenti

  1. Anch’io mi unisco al coro: non è assolutamente un’opera minore..ad esempio molti citano la trama come “punto debole” come sintomo di immaturità come scrittrice, ma al contrario la trama stessa è “parodia”, parodia, risposta ironica, alle trame dei romanzi gotici che sono invece un susseguirsi continuo di “sorprese”, colpi di scena (anche inverosimili).

    p.s. ” ma anche il “processo” di Henry a Catherine sull’uso di “grazioso” (nice in originale) denota scrupoli sulla precisione del linguaggio che sono diretta espressione della Austen “. …Sìììì la precisione di linguaggioooo <3

  2. Concordo pienamente, è uno dei primi romanzi che parlano di romanzi, JA l’ha scritto giovanissima, dimostrando di avere un talento innato per la letteratura, per comprenderla e crearla, è riuscita a fare quello che molti lettori credo vorrebbero sape fare (io di sicuro) correggere le stranezze e le incongruenze imposte dalle mode letterarie creando la propria opera, questo romanzo, più di tutti, svela molto dell’arte e del pensiero di JA.

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