Oggi pubblichiamo la traduzione di un articolo da “Persuasions on-line” apparso nel 2006. L’autore, Bruce Stovel, analizza la struttura di Mansfield Park, proponendo interessanti analogie con gli altri romanzi, in particolare Emma, con una lettura che mette in luce l’esistenza di blocchi narrativi che si ripetono, sia nella forma che nel contenuto, con una sorta di andamento ciclico che rivela, e approfondisce, i sentimenti dei personaggi e le relazioni che via via si instaurano tra loro, con particolare riferimento, naturalmente, alla figura di dell’eroina del romanzo, Fanny Price.
Una volta ancora con sentimento: La struttura di Mansfield Park
di Bruce Stovel
V.27, NO.1 (Winter 2006)
Questo saggio è un tentativo di descrivere la struttura, lo schema di Mansfield Park: l’ampio arco che dà unità al romanzo e ne costituisce la spina dorsale. Che cosa ci può essere in questo romanzo di equivalente all’alternanza tra il corteggiamento di due sorelle da parte di due enigmatici spasimanti in Ragione e sentimento, o alla relazione di amore-odio tra Elizabeth e Darcy che dà unità a Orgoglio e pregiudizio? Il mio punto di vista è che Mansfield Park, il primo dei tre romanzi che Jane Austen avrebbe scritto nei suoi ultimi anni, sviluppa nel primo volume un’azione che sale di tono e raggiunge l’apice in un modo che è esattamente rispecchiato negli eventi principali del secondo e terzo volume. Nell’episodio del teatro, che occupa gli ultimi sei capitoli del primo volume, l’eroina, Fanny Price, si trova isolata e sulla difensiva, soggetta a continue pressioni per recitare e accusata di ingratitudine quando resiste ai desideri dell’intera famiglia, compreso il suo unico amico e mentore Edmund. Il primo volume giunge al punto culminante quando Sir Thomas Bertram torna in modo inaspettato; la commedia non sarà mai recitata, e l’ordine domestico sarà ripristinato. Negli eventi principali del secondo e terzo volume, Fanny affronta una seconda prova, molto più difficile: si oppone nuovamente ai desideri della famiglia, compreso Edmund, quando rifiuta la proposta di matrimonio di Henry Crawford, e ancora una volta è soggetta a pressioni e ad accuse di ingratitudine. Alla fine, a Mansfield Park l’ordine viene ripristinato, ma solo dopo una terribile sequenza di avvenimenti innescati dalla risoluta resistenza di Fanny nei confronti di Henry Crawford. Questo utilizzo del primo volume come prologo autosufficiente dell’azione principale è una struttura che Jane Austen elaborerà nel suo romanzo successivo, Emma, nel quale il primo volume illustra il fallimento dell’eroina nel promuovere il matrimonio tra Mr. Elton e Harriet, e il secondo e terzo un corteggiamento immaginario straordinariamente simile, ma molto più subdolo e difficile da scoprire, non da parte di Emma ma di Frank Churchill.
Confesso che i critici e i lettori di Mansfield Park non percepiscono la struttura del romanzo in questo modo, ma qualche consolazione ce l’ho: come fa notare allegramente la narratrice nelle pagine finali de L’abbazia di Northanger, “il merito di una sfrenata immaginazione sarà quanto meno tutto mio.” [cap. 30]
Quando a Mansfield Park i giovani decidono di recitare una commedia durante l’assenza di Sir Thomas, Fanny al principio non è presa in considerazione, come si conviene al suo stato di dipendenza nella famiglia, nei fatti quasi una domestica. Tuttavia, una volta decisa la commedia, Giuramenti di innamorati, e assegnate le parti, Tom Bertram, padrone di casa in assenza del padre, decide che Fanny deve recitare la parte della moglie del contadino. Fanny rifiuta con garbo, dicendo ripetutamente: “Non posso recitare” [cap. 15]. La scena sale di tono, dato che Maria, Henry Crawford e Mr. Yates si aggiungono a Tom nell’insistere affinché Fanny accetti di recitare, mentre Edmund “che la stava osservando dolcemente, ma, riluttante a esasperare il fratello con la sua interferenza, le rivolse solo un sorriso di incoraggiamento” [cap. 15]. A questo punto Mrs. Norris dice con rabbia a Fanny: “Quante storie per niente. Mi vergogno proprio di te, Fanny, per tutte queste difficoltà nel fare un piacere ai tuoi cugini in una sciocchezza del genere; loro, che sono così gentili con te!” e Edmund finalmente parla in difesa di Fanny: “Non è bello forzarla in questo modo. Lo vedete che non vuole recitare. Fatela scegliere da sola, così come tutti noi.” Mrs. Norris allora precisa: “Non la sto forzando […] ma la riterrò una ragazza molto testarda e ingrata, se non fa quello che la zia e i cugini desiderano che faccia; davvero molto ingrata, considerando chi e che cosa è.” [cap. 15].
Le parole di Mrs. Norris rivelano in modo sgradevole quello che nel romanzo tutti pensano di Fanny: una persona grata e sottomessa, strappata allo squallore dalla generosità della famiglia Bertram. L’affermazione di Edmund che Fanny è capace di scegliere da sé e non può essere automaticamente costretta all’obbedienza sottolinea una significativa ironia: Fanny disapprova profondamente l’intero progetto teatrale, e quindi la sua dichiarazione di non poter recitare cela una condanna verso coloro che le sono superiori, una condanna che lei avverte ma che si sente incapace di dichiarare apertamente. Fanny ha intenzione di sottoporre i suoi dubbi a Edmund il giorno dopo in camera sua, la stanza a est, ma è distrutta quando Edmund appare e le dice di aver deciso di unirsi agli altri allo scopo, così dice, di evitare a Miss Crawford il fastidio di recitare con un estraneo [cap. 16].
La stessa sequenza di eventi, descritta però con molta più ampiezza, si verifica all’inizio del terzo volume, quando Sir Thomas, non credendo che Fanny possa aver rifiutato il matrimonio con Mr. Crawford che lui sta caldeggiando, intimidisce Fanny con parole più altere ma in tutto e per tutto altrettanto crudeli, paternalistiche e sbagliate di quelle di Mrs. Norris nel primo volume:
“Ti ritenevo particolarmente priva di un temperamento caparbio, di presunzione, di ogni propensione a quell’indipendenza di spirito che è così diffusa oggigiorno […] e che nelle giovani donne è offensiva e detestabile oltre ogni dire. Ma ora hai dimostrato di saper essere caparbia e ribelle, che puoi e vuoi decidere da sola, senza nessuna considerazione o rispetto verso coloro che hanno sicuramente qualche diritto nel guidarti, senza nemmeno chiedere il loro consiglio. […] Non hai verso di me i doveri di una figlia. Ma, Fanny, se il tuo cuore può assolverti dal peccato di ingratitudine…” [cap. 32]
Sir Thomas pronuncia queste parole nella stanza a est, uno dei molti modi con i quali questa scena riprende la dura prova di Fanny nel primo volume. Come i capitoli seguenti rendono palese, Sir Thomas parla a nome dell’intera famiglia: anche Lady Bertram, anche Edmund, la esortano, con le parole di Edmund, a “dimostrarsi grata e sensibile”, e ad accettare Henry Crawford [cap. 35]. Una volta ancora, Fanny è totalmente sola, abbandonata dall’unica persona che ha eletto a sua guida, Edmund. E, come nell’episodio del teatro, Fanny può solo dire no e continuare a dire no.
Un’altra analogia è che nel primo volume Sir Thomas è assente e la sua autorità è affidata allo scapestrato figlio primogenito, Tom, mentre nel secondo e terzo Sir Thomas è fisicamente presente, ma il controllo della situazione è nelle mani di Mr. Crawford, una perdita di autorità simboleggiata chiaramente dalla decisione di Sir Thomas di far incontrare Fanny con Crawford nel proprio studio, per far giustificare direttamente a lei il suo rifiuto. Inoltre, Fanny è ancora una volta impossibilitata a spiegare la sua decisione. Non può dire a Sir Thomas tutta la verità circa la risposta che ha dato a Crawford; dice a Sir Thomas che “mi è assolutamente impossibile ricambiare la sua stima” [cap. 32], ma si rende conto che tradirebbe la cugina Maria se gli dicesse ciò che sa del carattere di Crawford, a seguito dell’evidente flirt tra i due che lei aveva notato durante le prove della recita; dice a Sir Thomas che “non posso amarlo abbastanza da sposarlo” [cap. 32], ma non gli dice che lei ha tutto il diritto di sposarsi per amore e di non essere sopraffatta, come è lo stesso Sir Thomas, dall’appello alla ricchezza e allo status sociale di Mr. Crawford. E, ovviamente, non dice a Sir Thomas che il principale ostacolo è il suo amore per Edmund.
Il linguaggio della narratrice sottolinea sempre queste analogie. Il mattino dopo la richiesta di Tom e l’attacco di Mrs. Norris, Fanny, sola nella stanza a est, pensa “Essere esposta in quel modo all’attenzione generale, rendersi conto di come non fosse che il preludio a qualcosa di infinitamente peggio, sentirsi dire di dover fare una cosa impossibile come recitare; e poi l’accusa di ostinazione e ingratitudine che era seguita, rafforzata da quell’allusione alla sua condizione di dipendenza, era stata troppo dolorosa in quel momento per rendere meno acuto il ricordo una volta rimasta sola” [cap. 16]. È una frase ciclica, che cresce gradualmente fino alle parole culminanti “ostinazione… ingratitudine… dipendenza”. Fate un paragone con le riflessioni di Fanny subito dopo il discorso di Sir Thomas: “A lei si era quasi spezzato il cuore pensando a come gli stava apparendo; accuse del genere, così pesanti, così molteplici, in un tale spaventoso crescendo! Caparbia, ostinata, egoista e ingrata.” [cap. 32]
In entrambi i casi eventi esterni mettono fine in modo inaspettato allo stallo tra Fanny e la famiglia: Sir Thomas torna proprio nelle righe finali del primo volume e impedisce le prove e la recita di Giuramenti di innamorati; la seconda dura prova di Fanny si conclude all’improvviso, quando, verso la fine del romanzo, Maria lascia il marito e fugge con Henry Crawford. In entrambi i casi Fanny è scagionata. Edmund spiega al padre, all’inizio del secondo volume: “Siamo tutti più o meno da biasimare […] ciascuno di noi eccetto Fanny. Fanny è la sola che è stata sempre nel giusto, che è stata coerente. I suoi sentimenti sono stati fermamente contrari dall’inizio alla fine. Non ha mai smesso di pensare a che cosa vi fosse dovuto.” [cap. 20] E non appena Fanny ha la possibilità di riflettere sulle notizie circa l’adulterio e la fuga con Henry, capisce che “Lei sarebbe stata assolta. Mr. Crawford aveva pienamente giustificato la sua condotta nel rifiutarlo, ma questo, anche se molto significativo per lei, sarebbe stata una ben magra consolazione per Sir Thomas.” [cap. 47]
In breve, l’episodio del teatro nel primo volume è una sorta di prova generale per la serie di avvenimenti principali del secondo e del terzo. Questa analogia porta l’attenzione su alcuni evidenti aspetti del romanzo; proprio come in Emma, la delusione dell’eroina nel primo volume mette in risalto gli equivoci più complessi e la più piena umiliazione di cui è vittima nel secondo e nel terzo. Vorrei ora descrivere a grandi linee le cinque conseguenze che derivano dal vedere in questa luce la struttura del romanzo.
Per cominciare, si può notare un parallelo interessante con Emma. I primi due capitoli del secondo volume di Mansfield Park descrivono la reazione indignata di Sir Thomas al progetto teatrale: egli mette fine alle prove, fa riportare dal falegname la sala da biliardo all’aspetto originario, rimanda a Londra lo scenografo assunto da Tom, vede andar via Mr. Yates, e inoltre “brucia tutte [le copie di Giuramenti di innamorati] che gli erano capitate a tiro” [cap. 20]. È interessato unicamente ai comportamenti esteriori e non ai motivi che li hanno determinati: “voleva cercare di liberarsi da quell’impressione sfavorevole, e dimenticare il più presto possibile quanto lui stesso fosse stato dimenticato […] Non si avventurò in nessuna rimostranza verso gli altri figli; era più propenso a credere che avrebbero capito lo sbaglio, che a correre il rischio di indagare. L’implicito rimprovero di un’immediata conclusione del tutto, della cancellazione di qualsiasi preparativo, sarebbe stato sufficiente” [cap. 20]. Il suo atteggiamento mi sembra straordinariamente simile a ciò che Emma dice tra sé alla fine del fallimento Harriet-Elton: “Il primo e il peggiore degli errori era da attribuire a lei. Era stato stupido, era stato sbagliato, accollarsi una parte così attiva nel mettere insieme due persone. Si era avventurata troppo in là, aveva dato troppo tutto per scontato, prendendo alla leggera quello che doveva essere preso seriamente, complicando quello che doveva essere semplice. Se ne rendeva perfettamente conto e se ne vergognava, e decise di non fare più cose del genere.” [cap. 16] Emma, come Sir Thomas, si rammarica per il comportamento e non per le cause che lo hanno determinato; quello che mancava nel suo pentimento del primo volume diventa evidente quando biasima se stessa nel punto culminante del romanzo: “Con insopportabile vanità si era creduta capace di penetrare i sentimenti nascosti di tutti; con imperdonabile arroganza aveva preteso di decidere il destino di tutti.” [cap. 47] Visto che Sir Thomas e Emma ignorano le cause della loro prima umiliazione, sono tutti e due destinati a essere umiliati di nuovo e in modo più completo.
Un secondo aspetto del romanzo messo in luce da questa struttura parallela è come sia diversa la posizione di Fanny, in casa e nel romanzo, nella sua seconda prova. In quel frangente, Fanny si oppone a Sir Thomas in persona e non alla maligna ma irrilevante Mrs. Norris; la sua decisione di rifiutare Henry Crawford non ha una valenza moralmente simbolica, ma è la scelta centrale della sua vita; la prova non dura tre o quattro giorni, ma quattro mesi, la maggior parte dei quali trascorsi in esilio a Portsmouth; Fanny non è più spettatrice in famiglia, ma ne diventa la figura centrale. Il romanzo dedica otto capitoli al progetto del teatro (i sei capitoli finali del primo volume e i primi due del secondo); in contrasto con questa relativa brevità, è all’inizio del secondo volume che Henry Crawford confessa alla sorella il progetto di fare “una piccola breccia nel cuore di Fanny Price.” [cap. 24] nei giorni in cui non è impegnato con la caccia, e il corteggiamento continuerà fino alle pagine finali del terzo volume. La seconda dura prova di Fanny è in tutti i sensi molto più difficile della prima. Il romanzo suona una volta ancora la stessa melodia, con sentimento.
Una terza e ancora più lampante differenza tra le due sequenze parallele di avvenimenti è come la seconda volta Fanny sia molto più sola. Sa che non potrà più contare sull’aiuto di Edmund. Durante le prove teatrali, come abbiamo visto, Edmund difende il diritto di Fanny a rifiutare; anche dopo l’annuncio agli altri della propria capitolazione, quando Tom suggerisce: “Forse […] ora Fanny può essere disponibile ad accontentarci. Forse tu puoi convincerla.” [cap. 17], Edmund respinge l’idea con fermezza. Nell’altro caso, quando Crawford fa la proposta a Fanny, Edmund è lontano a causa dell’ordinazione sacerdotale, e la risposta di Fanny al solenne discorso di Sir Thomas nella stanza a est suggerisce come l’assenza di Edmund non sia puramente geografica: “Non aveva nessuno che prendesse le sue parti, che la consigliasse o parlasse per lei. Il suo solo amico era assente. Lui avrebbe potuto ammorbidire il padre; ma tutti, forse tutti l’avrebbero considerata egoista e ingrata.” [cap. 32] Quando, qualche giorno dopo, Edmund ritorna, è colpito dal fatto che, stranamente, Fanny non cerca un’occasione per discutere con lui della proposta di Crawford, e così decide di “cercare di usare per quanto possibile la sua influenza a favore dell’amico.” [cap. 35] “Fanny estraniata da lui, in silenzio e riservata, era uno stato di cose innaturale, uno stato di cose che era necessario interrompere, e che, come lui poteva facilmente immaginare, lei stessa aveva il desiderio di interrompere.” [cap. 35] E così discutono la proposta, e in questa discussione Edmund non solo insiste perché Fanny accetti Crawford, come abbiamo visto, ma conclude anche il suo appello con un bizzarro ricatto emotivo; le dice che la propria felicità con Mary Crawford dipende dal fatto che Fanny accetti il fratello: “Confesso di avere il sincero desiderio che tu lo faccia. Ho un interesse non banale per il successo di Crawford. Dopo la tua felicità, Fanny, la sua è al primo posto per me. Lo sai che il mio interesse per Crawford non è banale.” Le successive parole di Edmund: “Sono stato molto contento del modo con cui ne ha parlato lei ieri…” rendono chiaro che si sta riferendo a Mary.
Un quarto punto è che Fanny più è sola più è forte. Nella sua prima prova, si sente insicura circa quello che deve fare; le sue stesse virtù – l’umiltà, la consapevolezza del proprio orrore per la recitazione, la capacità di dubitare di se stessa, il profondo senso di gratitudine – la portano a interrogare il proprio rigore morale. Poco prima che Edmund entri nella stanza a est per annunciare la sua decisione di unirsi agli altri, Fanny pensa:
Era stato giusto rifiutare quello che le era stato chiesto con tanto calore, che era così tanto desiderato? Quello che poteva essere così essenziale a un progetto che alcuni di quelli ai quali doveva la massima gratitudine avevano tanto a cuore? Non era forse cattiveria, egoismo e paura di esporsi? E il giudizio di Edmund, la sua convinzione circa la disapprovazione di Sir Thomas per il progetto in generale, era sufficiente a giustificarla in un rifiuto così deciso a dispetto di tutto il resto? [cap. 16]
La defezione di Edmund, tuttavia, significa che lei deve affrontare da sola la prima prova, e quando è di fronte alla seconda non dubita più della sua lealtà morale; quando Sir Thomas conclude il suo lungo discorso nella stanza a est, lei pensa: “Egoista e ingrata! essergli apparsa così!” [cap. 32] La parola “apparsa” dice tutto. Nel capitolo successivo, i suoi pensieri evidenziano non dubbi interiori ma condanna per la “linea di condotta” venale di Sir Thomas. “Lui, che aveva dato in sposa una figlia a Mr. Rushworth. Non ci si poteva certo aspettare una romantica delicatezza da parte sua. Lei avrebbe fatto il suo dovere, con la fiducia che il tempo avrebbe reso quel dovere più facile di quanto non fosse ora.” [cap. 33]
Un quinto punto emerge una volta accettata l’esistenza di queste due sequenze parallele. Sebbene io non l’abbia menzionato in questo saggio, Fanny, nella sua prima prova, la recita, vacilla e alla fine cede, e questo cedimento fa emergere la possibilità che possa di nuovo adeguarsi ai desideri di tutti coloro che ritiene cari. Sorprendentemente, in modo sconcertante, Fanny in effetti soccombe alle pressioni della famiglia la sera della prima prova ufficiale di Giuramenti di innamorati; accetta di recitare. Edmund dice al padre, con parole già citate, che Fanny ha sempre rifiutato l’idea di recitare, e i lettori si aspetterebbero senza dubbio la stessa cosa. In effetti, uno dei maggiori estimatori del romanzo, Joseph Wiesenfarth, dice che “nessuna pressione riesce a vincere la decisione [di Fanny] di non recitare” (99). Quando accade, il passo falso di Fanny è puramente nominale, dato che il ritorno di Sir Thomas la stessa sera impedisce che abbia luogo la prova. Eppure il cedimento di Fanny è strano e inaspettato. Succede nel penultimo paragrafo del primo volume, dopo che Mrs. Grant, alla quale è affidata la parte della moglie del contadino, manda a dire di essere impossibilitata a venire quella sera per le prove, e dopo che tutti spingono Fanny ad assumersi la parte; persino Edmund dice: “Fallo, Fanny, se non ti risulta troppo sgradevole.” [cap. 18] Edmund è ormai diventato qualcuno che chiede più che proteggere, e la reazione di Fanny a questa giravolta evidenzia con chiarezza la sua remissività. Nello stesso paragrafo leggiamo: “dato che tutti insistevano, che Edmund aveva ripetuto il suo desiderio, e per di più con uno sguardo di affettuosa fiducia nella sua bontà, doveva cedere. Avrebbe fatto del suo meglio. Tutti erano soddisfatti…” [cap. 18]. Fanny cede per disperazione, come risulta evidente nella sua risposta alla capitolazione di Edmund di fronte all’influenza di Mary Crawford, due capitoli prima:
I dubbi e i timori sulla propria condotta, che prima l’avevano angosciata […] erano ormai diventati poco importanti. Quell’ansia più profonda li aveva assorbiti. Le cose dovevano seguire il loro corso; non le importava come sarebbe andata a finire. I cugini potevano ritornare all’assalto, ma non l’avrebbero turbata. Era al di là della loro portata; e se alla fine fosse stata costretta a cedere… che importava… c’era solo infelicità ora. [cap. 16]
Nella seconda prova, con Edmund che la incalza persino con più forza, e con nessuna speranza che lui possa vincere la sua infatuazione per una Mary apparentemente perduta, potrà forse Fanny evitare di cedere di nuovo? La romanziera ha inserito questa possibilità narrativa all’interno del corso degli eventi, e infatti la narratrice, nel capitolo finale del romanzo, lascia intendere che Fanny avrebbe in realtà potuto cedere a Crawford, se quest’ultimo avesse perseverato nel corteggiarla, una volta che Edmund avesse sposato Mary. E, ovviamente, l’adattamento cinematografico del romanzo del 1999, scritto e diretto da Patricia Rozema, mostra Fanny che fa marcia indietro e accetta Henry, per poi fare di nuovo marcia indietro il mattino dopo.
Finora questo saggio ha sviluppato i parallelismi tra due sequenze di eventi, e definendo i parallelismi ha messo in luce le differenze tra le due sequenze. Tuttavia, è necessario ricordare che questi due fili narrativi dell’azione sono legati dalla causalità quanto dall’analogia. L’episodio del teatro e il corteggiamento di Fanny da parte di Henry Crawford formano la spina dorsale del romanzo. Fanny non accetterà mai Henry Crawford perché l’ha visto giocare a giuramenti di innamorati con Maria nell’episodio del teatro. Lo spiega a Edmund nel colloquio che ha con lui, anche se non era stata in grado di farlo con Sir Thomas: “Non ho pensato bene di lui fin dal periodo della recita. Allora l’ho visto comportarsi […] in modo così tanto inappropriato e insensibile, […] concedere tali attenzioni a mia cugina Maria, che… in breve, nel periodo della recita, ho avuto delle impressioni che non potranno mai essere cancellate.” [cap. 35] Allo stesso modo, trovandosi da sola contro tutta la famiglia durante le prove teatrali, senza nemmeno il sostegno del suo Edmund, Fanny sviluppa la forza morale e la fiducia nel proprio giudizio, che le permette di resistere ai prolungati attacchi di tutti gli altri personaggi nell’azione principale del romanzo. Il progetto teatrale, poi, serve come perno della narrazione, proprio come la prima proposta di Darcy, la veemenza della reazione di Elizabeth e la lunga lettera di spiegazioni di lui sono il punto di svolta nell’intreccio di Orgoglio e pregiudizio.
Le idee che ho cercato di delineare mi sembrano chiare, persino lampanti in sé, eppure non sono state sviluppate negli studi critici sul romanzo, e si può quindi presumere che non siano evidenti per il lettore comune. Questo è particolarmente strano quando si considera che in Emma la stessa struttura in due fasi può difficilmente sfuggire ai critici e ai lettori comuni. Perché è così? Una risposta potrebbe essere che la struttura che io trovo in Mansfield Park semplicemente non c’è. Tuttavia, preferisco una soluzione meno radicale, e vorrei suggerire che questo disegno, e la sua somiglianza con la struttura di Emma, è stato trascurato per due ragioni. Una è insita nel romanzo in sé, e l’altra nel mio approccio a esso.
Guardiamo prima al romanzo in sé: il primo volume introduce all’azione principale di Mansfield Park in modo più frammentario e meno chiaramente separato dal secondo e dal terzo rispetto alla parte corrispondente di Emma. Il primo volume di Emma è un intreccio autosufficiente, focalizzato quasi interamente sui tre personaggi del triangolo Emma-Elton-Harriet, e questo intreccio arriva alla definitiva conclusione prima della fine del volume; il secondo volume inizia con la visita di Emma a Miss Bates – fin qui solo un nome, ma d’ora in poi un personaggio pienamente sviluppato – e la notizia che Jane Fairfax, prima mai menzionata, sta per arrivare a Highbury; in questo modo si chiarisce che sta iniziando una nuova e più ampia sequenza di eventi. Al contrario, l’episodio di Giuramenti di innamorati occupa l’ultimo terzo del primo volume di Mansfield Park, e, come abbiamo visto, si estende fino ai due primi capitoli del secondo. In aggiunta, l’episodio del teatro, lungi dall’interessare un limitato numero di personaggi, include tutti quelli del romanzo, e persino l’assente Sir Thomas è menzionato talmente spesso da sembrare presente.
Tuttavia, mi sento di affermare che il primo volume di Mansfield Park è nell’insieme più coerente di quanto appaia. Il volume consiste principalmente di due episodi autonomi: quello del teatro e, in precedenza, quello della gita per verificare i miglioramenti a Sotherton, la proprietà di Mr. Rushworth. L’escursione a Sotherton è discussa a lungo nel capitolo sei, e poi i capitoli otto, nove e dieci sono dedicati interamente a essa. Però, anche se la gita a Sotherton e il teatro sono due segmenti narrativi separati, sono molto simili sia nel contenuto che nella forma. Per il contenuto, l’escursione a Sotherton è un modello dell’episodio del teatro: i giovani Bertram e Crawford sono fuori a esplorare, mentre Sir Thomas è lontano; Henry Crawford concede le sue attenzioni a Julia e corteggia Maria, mentre quest’ultima si separa dal fidanzato, Rushworth, e reagisce con ardore alle avances di Crawford; Julia è messa ai margini in entrambi i casi, e in tutti e due Rushworth è ingannato e costretto a recitare un ruolo comico e umiliante; nel frattempo, Mary Crawford attira Edmund lontano da Fanny e nel sinuoso sentiero del bosco; Fanny è da sola, abbandonata da Edmund, ma ben consapevole di tutto ciò che accade.
Per la forma, i due episodi sono estremamente teatrali. Non è affatto sorprendente nell’episodio del teatro. Eppure, è utile ricordare che il romanzo ci mostra personaggi intenti a mettere in scena una commedia dentro una commedia, mentre recitano Giuramenti di innamorati: ciascun personaggio – per esempio Edmund nel ruolo di Anhalt, l’ecclesiastico idealista, o Maria in Agatha, la donna che ha peccato – recitano un ruolo che rappresenta la loro situazione a Mansfield Park. Per di più, come hanno rilevato alcuni critici, anche gli avvenimenti a Sotherton sono teatrali. (1) I giovani vagano nella macchia artificialmente selvatica in gruppi variabili di due o tre, come gli amanti shakespeariani nei boschi. Inoltre, il momento chiave a Sotherton contiene il forte simbolismo che si trova nella pantomima o nel teatro nel teatro di Amleto. Pensate a Maria e Henry Crawford che si fanno strada attraverso il cancello chiuso e si avviano nella parte più vasta del parco. Un esempio ancora più evidente nell’episodio di Sotherton accade in precedenza, quando il gruppo visita la cappella familiare ormai in disuso:
Julia richiamò l’attenzione di Mr. Crawford sulla sorella, dicendo, “Guardate Mr. Rushworth e Maria, uno accanto all’altra, esattamente come se si stesse per celebrare la cerimonia. Non hanno proprio l’aria adatta?”
Mr. Crawford diede sorridendo il suo tacito consenso, e avvicinandosi a Maria, disse, con un tono di voce che solo lei riuscì a udire, “Non mi piace vedere Miss Bertram così vicina all’altare.”
Sobbalzando, lei fece istintivamente uno o due passi, ma si riprese in un istante, fingendo di ridere, e gli chiese, con un tono non molto più alto, “Se avrebbe voluto essere lui a portarla all’altare.”
“Temo che lo farei in modo molto maldestro”, fu la sua riposta, con uno sguardo molto significativo. (cap. 9)
Il piccolo inserto drammatico potrebbe essere agevolmente intitolato Giuramenti di innamorati. Da notare come Henry Crawford si faccia avanti in modo aggressivo e, nello stesso tempo, lungi dal pronunciare un giuramento, parli con velata ambiguità, proprio come si preme al petto la mano di Maria, con atteggiamento ambiguo, quando le prove della commedia subiscono una brusca interruzione nelle righe iniziali del secondo volume. Possiamo quindi considerare i capitoli di Sotherton come una prova per la scena del teatro, proprio come quest’ultima è una prova per l’azione principale del romanzo. (2)
Una seconda ragione per la mancata evidenziazione di questo disegno nel romanzo è nell’approccio che ho avuto nel leggerlo. Questo articolo è focalizzato sulle questioni morali del romanzo, come suggeriscono le parole chiave delle mie argomentazioni, come “comportamento”, “dovere”, “egoismo”, “gratitudine” e “giustificazione”. Sospetto che la maggior parte dei lettori odierni afferrino queste questioni morali, e i modelli sottintesi a essi, ma li vedano come ovvii e datati; ciò che li affascina è il contesto sociale, o l’analisi psicologica o politica che possa spiegare quelle questioni. Al contrario, io penso a Mansfield Park come a qualcosa che possa essere discusso come un romanzo di Henry James, e in effetti questo lavoro sembra somigliare più a quelli di James che a qualsiasi altro di Jane Austen. Come minimo, la ricca vita morale di Fanny Price può rammentarci come le protagoniste degli altri romanzi di Jane Austen condividano il complesso universo morale di Fanny.
Mansfield Park è sotto molti aspetti un’opera strana ed enigmatica; qualche critico lo considera un romanzo dialettico, proprio come le ultime commedie di Shakespeare – come Misura per misura o Tutto è bene quel che finisce bene sono drammi dialettici. La stranezza del romanzo diventa particolarmente esplicita se pensiamo all’eroina. Fanny Price è la più giovane delle eroine austeniane, se trascuriamo la sempre ragazzina Catherine Morland, la protagonista de L’abbazia di Northanger, e se consideriamo Elinor Dashwood, il personaggio guida, l’eroina di Ragione e sentimento. Fanny è molto più in basso nella scala sociale rispetto alle altre eroine, ed è la sola a cui mancano i “talenti”: non la vediamo né disegnare, né suonare, né cantare. Non ha affatto spirito, diversamente dalle altre eroine (e diversamente dall’autrice); è anche, sempre diversamente dalle altre eroine, timida e fisicamente fragile. È la sola la cui infanzia è descritta con una certa larghezza, e questo è un fatto importante, dato che Fanny è l’eroina della memoria e della gratitudine, e anche perché il suo amore per Edmund è basato sulla gentilezza del cugino verso di lei, come possiamo leggere nei capitoli iniziali del romanzo. Fanny è la sola eroina che deve sopportare di vedere l’uomo che ama adorare la sua rivale per tutto il corso della storia, e, diversamente dal rapporto di Elinor con Lucy Steele, o quello di Elizabeth Bennet con Miss Bingley o Miss de Bourgh, o anche quello di Anna con Louisa e Henrietta Musgrove, Fanny ha tutte le ragioni per credere che l’uomo da lei amato ama la sua rivale e che questa rivale alla fine prevarrà. Alla fine del romanzo Edmund è finalmente disingannato, ma non lo vediamo ricambiare l’amore della cugina, o farle una proposta di matrimonio. E ancora, Fanny è l’unica eroina che deve sopportare di essere la confidente di colui che ama, qualcosa la cui sola prospettiva diventa un incubo per Emma, un incubo che però non si concretizza, visto che si rivela un bizzarro malinteso. Fanny è quindi la sola eroina che deve scacciare interamente gli infami sentimenti di invidia e gelosia, dall’episodio iniziale del cavallo di Edmund fino all’infatuata lettera da Londra nella parte finale del romanzo. I lettori non amano Fanny quanto le altre eroine austeniane. Eppure, proprio per queste ragioni, Fanny emerge come la più forte e la più eroica eroina austeniana, e spero di aver gettato una qualche luce sullo schema di un romanzo che, come la sua eroina, è fin troppo facile sottovalutare.
Note
(1) David Selwyn osserva: “A parte l’uso di Giuramenti di innamorati, e le letture di Shakespeare, Mansfield Park è permeato di senso del teatro, e in effetti molte delle scene contengono impressioni visuali che fanno quasi pensare al palcoscenico: [per esempio] Fanny che aspetta seduta nella macchia di Sotherton, mentre gli altri personaggi escono ed entrano in vari gruppi…” (259) Vedi anche Armstrong 62-66 e Byrne 178-83.
(2) Isobel Armstrong vede i capitoli di Sotherton, l’episodio del teatro e l’intreccio principale del romanzo i termini praticamente simili: p.es., “L’episodio di Sotherton è un preludio, l’alzarsi di un sipario, alla commedia ‘reale’, Giuramenti di innamorati.” (62)
OPERE CITATE
- Armstrong, Isobel. Jane Austen: Mansfield Park. Penguin Critical Studies.London: Penguin, 1988.
- Austen, Jane. The Novels of Jane Austen. Ed. R. W. Chapman. 5 vols. 3rd edition. London: Oxford UP, 1969. [Per le citazioni dai romanzi vedi le mie traduzioni nel sito jausten.it]
- Byrne, Paula. Jane Austen and the Theatre. London: Hambledon, 2002.
- Selwyn, David. Jane Austen and Leisure. London: Hambledon, 1999.
- Wiesenfarth, Joseph. The Errand of Form: An Assay of Jane Austen’s Art. New York: Fordham UP, 1967.
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http://www.jasna.org/persuasions/on-line/vol27no1/stovel.htm
Traduzione e pubblicazione on-line autorizzata da “JASNA-Persuasions on-line”, che non è responsabile dell’accuratezza della traduzione.
Dal 2009 al 2013 ha tradotto tutte le opere e le lettere di Jane Austen, raccolte nel sito jausten.it. Ha scritto due biografie di Jane Austen: Jane Austen si racconta (Utelibri, 2012) e In Inghilterra con Jane Austen (Giulio Perrone Editore, 2022). Nel 2015 ha curato e tradotto Lady Susan e le altre (Elliot), una raccolta di romanzi e racconti epistolari di Jane Austen. Nel 2017, in occasione del bicentenario della morte di Jane Austen, ha curato tre volumi editi da Elliot: Juvenilia, Ricordo di Jane Austen e altre memorie familiari (di James Edward Austen Leigh) e I Janeites (di Rudyard Kipling), oltre a un’antologia delle lettere pubblicata da “La biblioteca di Repubblica-L’Espresso”, comprendente anche l’incompiuto Sanditon.
3 commenti
Bel saggio, grazie per la traduzione, è vero Fanny non è amata dai lettori (da me) come le altre eroine, non è simpatica, appare remissiva perchè non si arrabbia, la sua è una resistenza passiva, per questo il romanzo per essere amato deve essere letto più volte, non è accattivante come gli altri, ma è il più complesso di tutti. Aspetto la traduzione del saggio relativo a Lady Susan, il mio inglese è ahimè pessimo!!!!
Personalmente concordo con l’analisi, anzi mi stupisce un poco che il disegno che qui appare effettivamente evidente non sia stato tratteggiato prima dalla critica!
Fanny a me piace abbastanza, è vero che è timida e remissiva, ma dimostra di essere molto risoluta nelle questioni importanti: sarebbe stato molto più facile far contenti tutti e sposare Crawford, voleva dire anche mantenere se non incrementare gli agi a cui è ormai avvezza ed ai quali deve rinunciare tornando a casa. Certamente Edmund ha un ruolo non marginale nelle sue decisioni, se lui avesse sposato Mary lei avrebbe capitolato, ma mi ha colpito che una ragazza alla quale è stato ripetuto per tutta la vita che debito di gratitudine abbia verso i suoi parenti, abbia resistito fermamente a tutti i loro attacchi. Ammiro quindi di Fanny la forza e la rettitudine, e presumo che risulti meno simpatica soprattutto per la sua mancanza di spirito, le altre eroine sono tutte chi più chi meno dotate di ironia o capacità di rispondere a tono. Edmund invece trovo che sia il protagonista maschile meno gradevole.
È vero. Fanny non colpisce, anzi, come dici tu, non risulta molto simpatica a gran parte dei lettori austeniani. Ma c’è un particolare che dovrebbe far riflettere chi la giudica troppo remissiva, troppo obbediente: è l’unico personaggio del romanzo che alla fine “vince”; tutti gli altri, chi più chi meno, rimangono frustrati nelle loro aspirazioni (i fratelli Crawford e, in pratica, lo stesso Edmund), delusi dal comportamento dei figli (Sir Thomas), puniti per le scelte che hanno fatto (Maria Bertram e la zia Norris), ricondotti loro malgrado a rifiutare gli spensierati comportamenti precedenti (Tom Betram). Fanny invece, con una tenacia e una forza sotterranee, celate dietro quel comportamento in effetti remissivo e obbediente, riesce a raggiungere in pieno l’obiettivo che si era prefissata praticamente dall’inizio del romanzo.
Anche in questo caso le interpretazioni del personaggio possono essere diverse, anche divergenti, ma è un finale che tende quasi a ribaltare l’impressione del lettore.
Uno dei tanti punti di forza di MP.