Connessioni femministe: Jane Austen e Mary Wollstonecraft

Cari lettori, per tentare di aggiornarvi con quanta più attenzione possibile in merito ai contributi, alle notizie e ai dibattiti sulle opere di Jane Austen, abbiamo chiesto alla redazione di “Persuasions“, la rivista ufficiale della JASNA (Jane Austen Society of North America) di poter tradurre per voi in italiano alcuni degli articoli pubblicati sul loro sito web. Abbiamo ricevuto una risposta positiva, e siamo quindi lieti di inaugurare questo percorso con la traduzione di un pezzo che ci è sembrato particolarmente importante, perché prende in considerazione uno degli aspetti più discussi e delicati dell’ambito di studio austeniano. L’articolo di Miriam Ascarelli, di cui potete leggere la traduzione in questo post, esamina infatti il punto di vista “protofemminista” della scrittura di Austen, confrontandolo con il pensiero di colei che fu la prima teorica del femminismo europeo: Mary Wollstonecraft. Siamo certi che questo ottimo studio susciterà il vostro interesse, stuzzicherà le  vostre riflessioni e, perché no, accenderà una discussione molto istruttiva. Buona lettura.

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Connessioni femministe: Jane Austen e Mary Wollstonecraft
di Miriam Ascarelli
Persuasions On-Line
, V.25, NO.1 (Winter 2004)

Cosa hanno in comune Jane Austen, figlia nubile di un ecclesiastico, che scrisse sei romanzi a proposito di giovani donne sulla strada del matrimonio, e Mary Wollstonecraft, la progenitrice del femminismo moderno?

Queste due donne provengono da ambienti molto diversi. Wollstonecraft è celebre per il suo disprezzo dell’istituzione matrimoniale, anche se poi cedette e sposò il pensatore radicale settecentesco William Godwin quando scoprì di aspettare da lui una figlia, la futura scrittrice Mary Shelley. E il suo libro più citato, Vindication of the Rights of Woman [Rivendicazione dei diritti delle donne], è un’analisi indignata e tagliente di come il sistema educativo del tempo tenesse le donne in una condizione di schiavitù e di dipendenza, che le trasformava in civette vanesie e sciocche.

Rabbia non è la parola che può venire in mente quando si pensa a Jane Austen. Ma come spero di dimostrare, anche Austen è una formidabile critica femminista. La sua voce è certamente più gentile, ammorbidita dai matrimoni che concludono i libri, dalla sua straordinaria ironia e dal senso dell’umorismo. Tuttavia c’è anche una solida presa di posizione femminista, che suggerisce che Austen, come Wollstonecraft, era in linea con una delle questioni più accese della sua epoca: il ruolo delle donne nella società. Una simile conclusione implicherebbe anche che Austen conosceva l’opera di Wollstonecraft, anche se quest’ultima non viene mai menzionata nei romanzi o nelle lettere che sono sopravvissute fino a noi.

Ciò che rende un legame tra Austen e Wollstonecraft così affascinante è il fatto che contribuisce a collocare Austen in un contesto di primo femminismo, o, per usare il termine accademico, protofemminismo. I critici letterari discutono di questo tema fin dal 1975, quando Marilyn Butler pubblicò il primo libro che prendesse in considerazione Austen alla luce del contesto storico contemporaneo, Jane Austen and the War of Ideas [Jane Austen e la guerra delle idee]. Butler conclude che Austen fa della propaganda di stampo conservatore, perché tutte le sue eroine si sposano; di conseguenza, afferma l’autrice, Austen non fa che implicitamente sostenere l’ordine sociale costituito.

Come sottolinea Julia Prewitt Brown, è proprio perché le sue eroine si sposano che la critica letteraria femminista ha avuto nei confronti di Austen una posizione così ambivalente. La sua analisi, che include il classico della critica femminista The Madwoman in the Attic [La pazza in soffitta] di Sandra M. Gilbert e Susan Gubar (1975), osserva che Gilbert e Gubar concedono a Austen il merito di educare i lettori a proposito della “grazia sottoposta a pressione”, ma ritengono che Jane Eyre di Charlotte Brontë sia molto più attento alle profondità della psiche femminile. The Proper Lady and the Woman Writer [La donna rispettabile e la scrittrice] di Mary Poovey (1984) riconosce che Austen è consapevole dei limiti imposti alle donne dalla società, ma in ultima istanza l’autrice la identifica come una sostenitrice dello status quo – una romanziera che vede nel matrimonio “il paradigma ideale della più perfetta fusione tra l’individuo e la società.” (p. 203)

L’autorevole libro di Claudia Johnson, Jane Austen: Women, Politics and the Novel [Jane Austen: le donne, la politica e il romanzo], sposta Austen più a sinistra. Johnson infatti conclude:

In un periodo in cui l’intera critica sociale, e in particolare quella che puntava in generale all’istituzione familiare e in particolare al ruolo delle donne, iniziò ad essere associata con la causa radicale, Austen difese e ampliò un terreno progressivo intermedio che era stato eroso dalla polemica manichea nata negli anni novanta del Settecento.” (p. 166)

Chi ha ragione in questo dibattito a proposito della questione femminile? Per analizzare questo punto è utile prestare attenzione al legame tra Wollstonecraft e Austen. Non c’è dubbio che Wollstonecraft contribuì a standardizzare il significato del pensiero radicale nel diciottesimo secolo. Se si riesce a dimostrare che Austen concordava con Wollstonecraft su alcuni punti chiave a proposito delle donne e della famiglia, si avrà un’idea più chiara di dove collocarla all’interno del suo contesto storico. Io credo che, contestualizzata, Austen risulti essere una realista, una persona che sa che la vita è difficile, in special modo per le donne. Ma piuttosto che concentrarsi su come le restrizioni sociali possano causare a una donna un collasso nervoso, Austen si dedica alle capacità di raziocinio di cui le donne hanno bisogno per sopravvivere – un principio che, a mio parere, è l’istanza fondamentale del femminismo.

E per quanto riguarda Mary Wollstonecraft? In un’epoca segnata dall’idea, allora rivoluzionaria, che gli esseri umani fossero creature razionali capaci di fare delle buone scelte, Wollstonecraft fu l’indefessa sostenitrice di un’idea ancor più radicale: l’idea che le donne sono creature razionali al pari degli uomini. Il libro che enuncia questa posizione è Rivendicazione dei diritti delle donne. Scritto nel 1792, quando era ancora viva la fiducia nella rivoluzione francese, il libro era una rivendicazione dei diritti femminili dopo che la nuova costituzione francese del 1791 aveva dato agli uomini il diritto di cittadinanza. Era anche una critica ai piani del governo francese di un sistema nazionale di istruzione per i bambini e le bambine, perché, anche se radicale per il suo tempo, secondo Wollstonecraft non era abbastanza progressista, visto che le femmine sarebbero state educate a occupare un ruolo subordinato.

Rivendicazione dei diritti delle donne è una denuncia incontrollata, indignata e potente di come il sistema di istruzione all’epoca di Wollstonecraft cospirasse per mantenere le donne in uno stato di schiavitù e di dipendenza:

La condotta e i costumi delle donne, in verità, dimostrano in modo chiaro che la loro mente non è sana; perché, come per i fiori piantati in un terreno troppo ricco, la loro forza e la loro utilità sono sacrificate in nome della bellezza; e le foglie sfarzose, dopo aver allietato lo sguardo degli schizzinosi, appassiscono, a dispetto dello stelo, molto prima della stagione in cui dovrebbero raggiungere la maturità. (p. 7)

Wollstonecraft colpevolizza gli uomini per questo stato di cose, perché loro sono responsabili di pianificare l’istruzione femminile:

Potrò essere accusata di arroganza; eppure devo dichiarare con fermezza quello che penso: che tutti coloro che hanno scritto sul tema dell’educazione femminile da Rousseau al Dr. Gregory hanno contribuito a rendere le donne delle figure più false e più deboli di quanto sarebbero altrimenti state; e di conseguenza le hanno rese meno utili per la società. Avrei potuto esprimere tale convinzione in tono più lieve; ma temo che sarebbe sembrata un uggiolio affettato, e non la manifestazione fedele dei miei sentimenti, e della netta conclusione cui mi hanno condotto l’esperienza e la riflessione. (p. 22)

Il messaggio di Wollstonecraft è pervaso di sarcasmo quando riassume l’opinione comune, di influenza rousseauiana, che la donna deve essere educata per diventare una signora attraente e una docile compagna per l’uomo. “Che assurdità!” (p. 25), afferma Wollstonecraft in tono beffardo.

Per quanto sia significativo sulla questione dell’educazione femminile, è anche importante tenere in mente cosa questo libro non sia. Nonostante il fatto che Wollstonecraft fosse personalmente contraria al matrimonio, Rivendicazione dei diritti delle donne non propone una totale trasformazione della famiglia. Forse perché Wollstonecraft era semplicemente troppo realista e sapeva che le donne avrebbe sempre finito per diventare mogli e madri, il libro vira verso la visione di un sistema educativo che metta le donne nelle condizioni di avere più fiducia in loro stesse e dunque di poter diventare figlie, mogli, madri e cittadine migliori. Si legge:

Le donne passive e indolenti sono le mogli migliori? Limitando la nostra discussione al momento presente dell’esistenza, consideriamo come queste deboli creature svolgono il loro ruolo. Le donne che, avendo acquisito solo delle scarse qualità superficiali, confermando il pregiudizio dominante, contribuiscono semplicemente alla felicità dei mariti? Mostrano il loro fascino semplicemente per divertirli? E le donne che fin dall’infanzia si sono fatte plagiare da principi di passiva obbedienza possiedono carattere a sufficienza per gestire una famiglia ed educare dei figli? La risposta è così decisamente negativa che dopo aver studiato la storia delle donne non posso fare a meno di trovarmi d’accordo con il più severo autore di satire nel considerare il nostro sesso la metà più debole e più oppressa della specie umana. (pp. 34-35)

Inoltre, nonostante il fatto che dopo la morte e la pubblicazione delle sue memorie da parte del marito, Wollstonecraft fu denigrata con l’accusa di essere una prostituta, ella fu, secondo i parametri moderni, una conservatrice in materia di sessualità:

Ho asserito che per rendere più perfetti il corpo e la mente umana, deve prevalere universalmente la castità, e la castità non sarà mai rispettata nel mondo maschile fino a che la persona della donna non smetta di essere, per così dire, idolatrata […] (p. 4)

Sottolineo le idee di Wollstonecraft sulla sessualità e la castità perché aiutano a definire cosa includesse la visione del mondo femminista (o più precisamente protofemminista) del Settecento. Com’è chiaramente indicato dall’esempio di Wollstonecraft, il protofemminismo alla fine del diciottesimo secolo non coincide sempre con i principi femministi di oggi, che premiano l’autonomia e la libertà sessuale delle donne.

Come si paragonano dunque le idee di Austen con quelle di Wollstonecraft? Un’attenta lettura dell’opera austeniana rivela che lei, come Wollstonecraft, era decisamente consapevole della natura del matrimonio come istituzione economica. Austen si occupò anche con energia delle due istanze che sono il fondamento dell’opera di Wollstonecraft: il concetto che le donne sono creature razionali e la convinzione che, affinché le donne possano realizzare il loro potenziale di esseri umani, devono imparare a pensare per conto proprio.

Le storie di Austen riguardano la realtà della vita femminile, ovvero, per le donne del diciottesimo secolo, una vita chiusa nella camicia di forza del decoro. L’educazione delle donne consisteva in una piccola quantità di “talenti”, una varietà di abilità inutili che, affermava Wollstonecraft, servivano solo “per sacrificare la forza della mente e del corpo femminile sull’altare dei ‘parametri di bellezza validi per i libertini’” (p. 10). Anche a Austen interessava il modo in cui l’istruzione del suo tempo foggiava le personalità degli uomini e delle donne, e laddove il suo tono è comico – non tagliente come quello di Wollstonecraft – l’immagine che ci presenta non è piacevole. I romanzi di Austen sono popolati di gente meschina come Fanny e John Dashwood, descritti in termini poco lusinghieri:

Non era un giovane maldisposto, a meno che essere piuttosto freddo ed egoista non significhi essere maldisposto; ma era, in generale, molto stimato, poiché si comportava con proprietà nello svolgimento dei suoi normali doveri. Se avesse sposato una donna più amabile, avrebbe potuto essere ancora più rispettabile di quanto già fosse, e sarebbe riuscito a diventare amabile lui stesso, poiché era molto giovane quando si era sposato e molto innamorato della moglie. Ma Mrs. John Dashwood era una marcata caricatura del marito, di mente più ristretta e più egoista.
(Ragione e sentimento, cap. 1. Qui e in seguito le traduzioni dai romanzi di Jane Austen sono di Giuseppe Ierolli, dal sito jausten.it)

La scena in cui la coppia si giustifica per aver lasciato precipitare la vedova Mrs. Dashwood e le sue tre figlie nella povertà, sulla base del fatto che il denaro è necessario al loro figlio di quattro anni, può essere vista alla luce dell’analisi fatta da Wollstonecraft su come possa risultare pericolosa un’educazione fallace, perché trasforma le donne in mogli gelose ed egoiste e gli uomini in sciocchi pomposi dalla mente ristretta.

L’antidoto che Austen offre alla meschinità di Fanny Dashwood è un pensiero indipendente. Le sue eroine si muovono attraverso il campo minato della vita usando il cervello. Catherine Morland, l’ingenua ragazza di campagna, sviluppa un pensiero critico mentre si trasferisce a Bath e poi a Northanger Abbey; Emma Woodhouse, l’intelligente ereditiera, impara a usare la testa con responsabilità riflettendo sulla lezione impartitale dai suoi abborracciati tentativi di combinare matrimoni e il suo pessimo comportamento a Box Hill; Anne Elliot, membro invisibile della sua stessa famiglia, ritorna in sé dopo che le sue doti sono messe a dura prova a Lyme.

L’interesse di Austen per la capacità raziocinante delle donne è anche evidente in quello che è stato giudicato il suo maggior successo formale: il discorso indiretto libero. Questa tecnica ha consentito a Austen di ritrarre gli atteggiamenti decorosi delle sue eroine in pubblico, e contemporaneamente il loro intimo riflettere sulla vera natura delle situazioni, segno distintivo di una creatura pensante. In questo modo, attraverso il discorso indiretto libero, scopriamo che Fanny Price non è un manichino; classifica Henry Crawford come un mascalzone egoista molto prima che lui riveli la sua vera natura intrattenendo una relazione adulterina con Maria Bertram, come ci dimostra questo dialogo tra Sir Thomas e Fanny:

“Hai qualche ragione, bambina, per pensare male del carattere di Mr. Crawford?”
“No, signore.”
Avrebbe voluto aggiungere, “ma ne ho sui suoi principi”, ma sentì un tuffo al cuore alla spaventosa prospettiva di discutere, spiegare e probabilmente non convincere. La sua cattiva opinione su di lui era fondata soprattutto su osservazioni che, per amore delle cugine, non avrebbe osato menzionare al loro padre.
(Mansfield Park, cap. 32)

Il desiderio insistente di Sir Thomas di vedere Fanny sposata rivela un’altra realtà dell’epoca di Austen. Le donne di ceto medio e alto non potevano lavorare, dunque il matrimonio era un vero buono pasto per le donne – la sicurezza economica è una delle ragioni per cui Mrs. Bennet è ansiosa di far sposare le cinque figlie. Austen scelse di fare della preoccupazione economica femminile un tema centrale della sua opera, per esempio attraverso storie con scopo di ammonimento di donne decadute che sono scivolate nella povertà più abietta (come le due Eliza [in Ragione e sentimento, N.d.T.]), la paura di Jane Fairfax di diventare una governante, o l’attenta parsimonia di Mrs. Smith, lasciata senza una lira a causa della prodigalità del suo defunto marito [rispettivamente in EmmaPersuasione, N.d.T.].

Anche se tutte le eroine di Austen si sposano, non tutti i suoi matrimoni sono buoni. Non c’è dubbio che Elizabeth Bennet sia molto fortunata nell’ottenere un marito ricco e rispettabile, ma non è così per la sua amica, Charlotte Lucas. Charlotte, che non ha né la bellezza né il fascino di Elizabeth su cui poter contare, riconosce la scialuppa di salvataggio non appena la vede. Il suo matrimonio con Mr. Collins ci mostra lo sguardo acuto e consapevole di Austen a proposito della convenienza economica di un matrimonio:

Le riflessioni [di Charlotte] furono in generale soddisfacenti. Certo, Mr. Collins non era né intelligente né piacevole; era una compagnia noiosa, e il suo affetto puramente immaginario. Ma comunque sarebbe stato un marito. Senza aspettarsi molto dagli uomini e dal matrimonio, sposarsi era sempre stato il suo obiettivo; era l’unica soluzione onorevole per una signorina istruita e di scarsi mezzi, e per quanto fosse incerta la felicità che se ne poteva trarre, era sicuramente il modo più piacevole per proteggersi dalla miseria.
(Orgoglio e pregiudizio, cap. 22)

Forse le cerimonie nuziali sembrano ricevere così poca attenzione nell’opera di Austen perché, come Charlotte ricorda al lettore, la felicità è questione di fortuna e il matrimonio offre una condizione di sicurezza. Si potrebbe pensare che una scrittrice tanto dedita a celebrare l’istituzione matrimoniale avrebbe profuso un’enorme quantità di inchiostro sul gran giorno, ma non è questo il caso di Austen. Le nozze hanno sempre luogo nell’ultimo capitolo e l’azione è narrata velocemente, spesso in un solo paragrafo, così come avviene in Emma:

Le nozze furono molto simili ad altre nozze in cui i partecipanti non hanno velleità di splendore e di sfoggio, e Mrs. Elton, dai dettagli che le fornì il marito, le giudicò estremamente modeste e molto inferiori alle sue. “Pochissimo raso bianco, pochissimi veli di pizzo; una faccenda proprio pietosa! Selina sarebbe rimasta allibita quando l’avrebbe saputo.” Ma, a dispetto di queste manchevolezze, i desideri, le speranze, le certezze, le previsioni del piccolo gruppo di veri amici che partecipò alla cerimonia, ebbero pieno compimento nella perfetta felicità di quella unione.
(Emma, cap. 55)

È chiaro quindi che il matrimonio, che segna la fine della storia, non è così importante per Austen. Al contrario, ciò che conta davvero è la vita reale delle donne, e questo concorda con le idee di Wollstonecraft sul fatto che un sistema educativo sbagliato nega loro l’intelligenza di cui hanno bisogno per fare delle buone scelte per se stesse e per le loro famiglia.

Per quale motivo, allora, Austen si rifiuta di ammettere di essere influenzata dal pensiero di Wollstonecraft?
Penso perché era semplicemente troppo pericoloso.

Consideriamo i fatti. Gli anni novanta del settecento furono anni critici per Austen. Iniziò a lavorare a Elinor e Marianne (la prima stesura di Ragione e sentimento e il primo dei suoi romanzi) nel 1794 e cominciò a scrivere Susan (in seguito Northanger Abbey) nel 1798. Tutti gli altri libri furono scritti dopo la fine del secolo; l’ultimo romanzo, incompleto, Sanditon, nel 1817, anno della sua morte.

Quelli furono anche anni iper-politicizzati per la storia inglese. La rivoluzione francese aveva portato sotto i riflettori l’esigenza del cambiamento sociale, e gli inglesi vivevano nel costante terrore di una rivoluzione in stile francese nel loro Paese. Il clima di isteria era rappresentato in un passo del “Treasonable Practices and Seditious Meetings Act” [Decreto sulle attività proditorie e le riunioni sediziose] del 1775, che dichiarò illegale criticare il governo inglese, e dalla pubblicazione della Anti-Jacobin Review [Rivista antigiacobina], fortemente di parte, che contribuì a fare della persecuzione dei giacobini “un passatempo nazionale” (Butler, p. 89). I conservatori demonizzavano i riformisti additandoli come rivoluzionari che intendevano destabilizzare la nazione anteponendo il diritto alla felicità individuale al bene comune e rappresentandoli come figure pericolose intente a rovinare le famiglie inglesi seducendo le loro figlie. Ne conseguì che la modestia femminile – e altri principi tradizionalmente legati alla sfera domestica – divenne improvvisamente una questione di sicurezza nazionale (Johnson).

Nel bel mezzo di tutto ciò, il marito di Wollstonecraft, William Godwin, pubblicò le sue memorie sulla vita della moglie. Memoirs of the Author of the Vindication of the Rights of Woman [Memorie dell’autrice della Rivendicazione dei diritti delle donne] (1798), descriveva nel dettaglio, fra le altre cose, la relazione avuta da Wollstonecraft con l’imprenditore americano Gilbert Imlay, i suoi tentativi di suicidio e il fatto che lei e Godwin concepirono la bambina prima del matrimonio. Tutto d’un tratto Wollstonecraft, che fino ad allora non era considerata particolarmente radicale (Johnson, p. 14), fu catalogata nella Anti-Jacobin Review sotto la lettera “p” di prostituta, e i suoi difensori furono ingiuriati. Claudia Johnson sottolinea che

quando la condotta sessuale non convenzionale di Wollstonecraft divenne di pubblico dominio, i lettori conservatori rimasero sconvolti all’idea che, qualora le donne fossero state davvero educate a diventare e ad agire come ‘creature razionali’, avrebbero potuto sentirsi in diritto, in qualità di persone libere, di esprimere i loro desideri e di inseguire la felicità secondo il loro punto di vista, anziché essere figlie obbedienti e mogli sottomesse.” (p. 15)

Come avrebbe potuto la giovane Jane Austen non tenerne conto? La sua biografa Clare Tomalin offre alcune prove convincenti del fatto che probabilmente Austen conosceva Mary Wollstonecraft e la sua opera. Nota infatti che Sir William East, padre di un allievo di George Austen, fu anche il benefattore di Wollstonecraft. Inoltre, Sir William era vicino di casa e amico dello zio di Austen, James Leigh-Perrot. Si crede che dopo il tentativo di suicidio di Wollstonecraft nel 1796, Sir William fu particolarmente gentile con lei nel corso della convalescenza. Anche se questo non lega in modo specifico Austen e Wollstonecraft, rende plausibile la possibilità che la famiglia Austen conoscesse Wollstonecraft e le sue idee (Tomalin, p. 158).

È possibile che Jane Austen stesse bene attenta a stare alla larga dalla politica di parte e a tenere per sé i propri pensieri su Wollstonecraft. Grazie al suo talento nella scrittura, la sua scelta di equilibrio funzionò. Riuscì a infondere nei suoi libri una critica femminista à la Wollstonecraft che è meno impegnata politicamente ma altrettanto efficace.

Opere citate:

  • Butler, Marilyn. Jane Austen and the War of Ideas. 1975; Oxford: OUP, 1987.
  • Gilbert, Sandra M. and Susan Gubar. The Madwoman in the Attic. New Haven: Yale UP, 1984.
  • Johnson, Claudia L. Jane Austen: Women, Politics and the Novel. Chicago: University of Chicago Press, 1988.
  • Poovey, Mary. The Proper Lady and the Woman Writer: Ideology as Style in the Works of Mary Wollstonecraft, Mary Shelley and Jane Austen. Chicago: University of Chicago Press, 1984.
  • Prewitt Brown, Julia. “The Feminist Depreciation of Austen: A Polemical Reading.” Rev. of Jane Austen: Women, Politics and the Novel, by Claudia L. Johnson, in Novel: A Forum on Fiction 23 (spring 1990).
  • Tomalin, Claire. Jane Austen: A Life. New York: Alfred A. Knopf, 1997.
  • Wollstonecraft, Mary. Vindication of the Rights of Woman. Ed. Carol H. Poston. 1792; New York: W. W. Norton, 1975.

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Link all’articolo originale:
http://www.jasna.org/persuasions/on-line/vol25no1/ascarelli.html
Traduzione e pubblicazione on-line autorizzata da “JASNA-Persuasions on-line”, che non è responsabile dell’accuratezza della traduzione.

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5 commenti

  1. Se il femminismo parte dal presupposto che la donna debba avere le stesse possibilità ed educazione dell’uomo, nella famiglia Austen era così che si pensava; al matrimonio come conquista abbiamo già visto in precedenza come JA non fosse interessata tanto da rifuggire le soluzioni di compromesso; famoso è il passo di Persuasione: finora la penna in mano l’hanno sempre avuta gli uomini. Emma, Mary Crawford, Elizabeth sono esempi di donne non disposte a chinare il capo e a sottomettersi.

  2. Mi piace sempre moltissimo tuffarmi in riflessioni sul femminismo e Jane Austen anche se so che, avessimo tutto il tempo del mondo, non smetteremmo comunque mai di rifletterci su, con esiti sempre diversi e nuovi.
    Sì, nei romanzi e nelle lettere rimaste c’è tutto ciò che dobbiamo sapere sulla sua visione della condizione femminile, e la sua vita stessa, le sue scelte, sono sufficienti a dircelo.
    Spesso, però, mi ritrovo a chiedermi qualcosa di più specifico, cioè se Jane abbia mai avuto modo di leggere la Vindication di Mary, o se ne abbia mai letto sui giornali, o ne abbia mai parlato con qualcuno. Arrivo addirittura a figurarmi qualche commento andato perduto nelle lettere bruciate dalla fedele Cassandra! Non lo sapremo mai.
    Ma trovo che riflettere sul tema sia sempre un’occasione di confronto e crescita.

  3. Mi capita ancora di discutere con amiche e colleghe, che hanno un ricordo liceale delle opere della Austen, se lei sia stata o meno una protofemminista. Probabilmente cerchiamo in lei quello che ci piacerebbe che fosse ma che non poteva essere. Abbracciare apertamente le idee della Wollstonecraft significava mettersi ai margini della società e alla fine la stessa Wollstonecraft ebbe bisogno di sostenitori facoltosi ed influenti. Jane Austen a mio parere fa quello che le era realisticamente possibile fare: vivere della propria penna e creare personaggi femminili che sanno farsi valere per il proprio cervello e temperamento. Molto spesso nella storia le rivoluzioni implodono o vengono soffocate mentre chi procede per gradi raggiunge poi grandi risultati.

  4. Condivido appieno Zenaide, ed aggiungo che per quanto i romanzi di Jane terminino con i matrimoni delle eroine, non è trascurabile il fatto che si tratti sempre di unioni d’amore, mai di convenienza, mai per accontentarsi di qualcosa meno del grande amore.
    Quindi ritengo che Jane nel suo piccolo abbia fatto quello che poteva, mostrando personaggi femminili sfaccettati e non perfetti, mostrando come effettivamente molte signorine ben educate risultassero vuote e prive di spessore intellettuale. Lei tra l’altro non si è mai sposata, perchè non ha voluto accontentarsi di qualcun altro o di un’unione di convenienza.

  5. Jane la composta e convenzionale e mary la rivoluzionaria non dovrebbero aver nulla in comune…..ma jane, come sempre, ci sorprende…..a una prima lettura le sue eroine ci appaiono perfettamente integrate nei limiti sociali previsti per loro, ma in realta esse implicitamente denunciano questi limiti e la societa assurda che li ha tracciati…..i romanzi parlano solo dal punto di vista delle donne, il cui sguardo non poteva spingersi oltre la loro realta vissuta , ma mostrano un universo infinito di sentimenti, pensieri e soprattutto le strategie mentali necessarie per sopravvivere in una realta cosi ostile…..mediare fra ragione e sentimento…..fra rispetto delle rigide regole sociali ed esigenze di realizzazione personale…..

Che cosa ne pensi?